mercoledì 26 marzo 2008

Solo grandi successi.. (Marzo 2008 - Seconda parte)

Innanzi tutto una premessa. Siccome ho notato che c'è molta gente che giunge qui attraverso ricerche su google del tipo: "2008 grandi successi", specificherei che i citati grandi successi sono tali per me in quanto i più programmati del momento (tanto per usare un lessico radiofonico) sul mio ipod (e sottolinerei la parola 'mio'). Detto ciò ecco la seconda playlist di questo mese di Marzo! :)

Birdantony's playlist IV (Marzo 2008 - Parte II) - Durata 24'34"




1. Seafaring Song - Isobel Campbell & Mark Lanegan (da "Sunday At Devil Dirt"): A distanza di due anni dal bel 'Ballad Of The Broken Seas' l'improbabile duo ci riprova e come nella precedente occasione il risultato è assai ben diverso da quanto ci si potesse aspettare (cioè il cocktail musicale dei relativi ex gruppi d'appartenenza: Belle And Sebastian e Screaming Trees). La Campbell scrive la musica e fa i cori, Lanegan i testi e fa il lead vocal per il seguito di questa saga musicale sempre in tensione fra le murder ballads di Nick Cave e gli american recordings di Johnny Cash. Il fascino non manca neppure in questo disco e scaturisce principalmente dal contrasto delle soavi melodie da carillon della Campbell interpretate dalla ruvidezza vocale di Lanegan. 'Seafaring Song' è la traccia che apre 'Sunday At Devil Dirt', una sorta di ballata del marinaio che richiama la tradizione folk irlandese, molto scarna nella forma e un pochino fuori dal tempo. Una di quelle ballate insomma che potresti fischiettare nel bel mezzo di una tempesta atlantica mentre il vento burrascoso ha spezzato il tangone e ti balena in mente l'immagine di tua moglie davanti al focolare di casa, ma anche quella della puttana che ti sta aspettando, se mai ci arriverai, nel prossimo porto di attracco. Gainsbourgbirkiniani.

2. Plastic - Portishead (da "Third"): Dodici anni di black-out discografico non sono pochi e non è poco nemmeno tutto ciò che si è evoluto nel panorama musicale planetario in questo lasso di tempo. I Portishead con due soli album erano diventati una sorta di punto di riferimento sonoro dell'avanguardia musicale degli anni '90 e c'era molta curiosità (barra scetticismo) sul loro ritorno. Sgombriamo subito il campo da ipotesi di reunion commerciale (tanto per far cassa) o autocelebrativa (tanto per riproporre se stessi): i Portishead sono sempre i Portishead e il loro percorso rimane coerente seppur avviato su sentieri musicali rinnovati. 'Third' è un ennesimo viaggio oscuro, a tratti magmatico in Beth Gibbons e Geoff Barrow trovano la strada per una nuova espressione, facendo leva sul loro indiscusso ed indiscutibile modo di plasmare materia sonora. Melodie sofferte su cui si muove sapiente la voce della Gibbons, disturbate da innesti elettronici, chitarre elettriche spettrali e ritmiche dall'incedere schizofrenico. 'Plastic' in questo senso potrebbe essere la 'Roads' del nuovo millennio con la sua andatura sincopata in un'alternanza fra il cantato etereo di Beth Gibbons e l'armamentario trip-hop di Geoff Barrow (con tanto di chitarra elettrica con effetto elicottero alla Tom Morello): un saliscendi ritmico cupo, a tratti malsano, però sempre affascinante. Bentornati.

3. Daniel Lanois - Where will I Be? (da 'Here Is What Is'): Daniel Lanois è forse più noto al grande pubblico come produttore che come l'artista poliedrico che in realtà è, non foss'altro perchè ha messo le mani, fra gli altri, su 'The Unforgettable Fire' e 'The Joshua Tree' degli U2 e su 'Oh Mercy' e 'Time Out Of Mind' di Bob Dylan, però è già giunto al suo ottavo disco e lo scorso anno ha anche debuttato come regista in 'Here Is What Is' presentato al Toronto Film Festival. L'omonimo album (uscito questo 18 di Marzo) è proprio la colonna sonora del film (costruito attorno ad una camera da presa che ritrae Lanois per il corso di un anno, fuori e dentro uno studio di registrazione), un disco che fonde la sua luminosa vena folk-rock con le atmosfere buie e notturne della musica contemporanea. Aggiungo anche che ad inframezzare le suggestioni musicali ci sono poi anche alcune tracce interludio in cui Lanois conversa con Brian Eno di filosofia, tanto per rendere l'idea dell'ambiziosa complessità di quest'opera. 'Where Will I Be?' è una ballad esistenziale in cui la calda voce di Lanois si insinua nel tappeto sonoro costruito su batteria, chitarra elettrica e tastiere a richiamare alternativamente il songwriting popolare di Springsteen e le cupe malinconie di Costello. Sonnambulo e funambolo.

4. Scott Matthew - In The End (da "Scott Matthew"): Di questo straordinario singer-songwriter e del suo primo omonimo album ho già abbondantemente disquisito in un post precedente e dunque non mi dilungherei ulteriormente. In questa playlist ho inserito 'In The End', il pezzo che chiudeva 'Shortbus' di John Cameron Mitchell (nella versione di Justin Bond & The Hungry March) e che viene riproposto in modo quasi identico rispetto all'ulteriore versione già presente nell'album della colonna sonora del film (solo qualche nota di piano aggiunta). Poco male visto che è proprio in quella sua sorta di minimalismo nichilista che, a mio modo di vedere, la canzone trova la sua principale ragion d'essere. Sublime e non banale riflessione sulla fine: "E quando il tuo ultimo respiro arriverà scoprirai che i tuoi demoni in realtà sono stati i tuoi migliori amici", canta Scott e noi con lui (il più tardi possibile, of course). Funereo.

5. Lior - Safety Of Distance (da "Corner Of An Endless Road"): Con il suo primo album 'Autumn Flow' del 2005, questo giovane cantautore australiano di origini israeliane si era fatto subito notare battendo ogni record di vendita per un disco di un'etichetta indipendente nel suo paese e collezionando 4 ARIA awards (gli oscar australiani della musica). Ora è tornato con un nuovo album che richiama le atmosfere precedenti, arricchendole però di sonorità ancor più ricercate. Il mondo di Lior è quello dei panorami bucolici, quasi fiabeschi, popolati da flora (colorata) e fauna (parlante): la vita dentro un cartone animato insomma è proprio la sua (altro che quella di Mika!). Melodie vellutate dal sapore vagamente melò da operetta (molto alla Rufus Wainwright insomma) impreziosite dalla leggerezza squisitamente pop dovuta ad un approccio 'easy listening', ma non per questo etichettabile come commerciale tout court. Da segnalare che il singolo 'I'll Forget You' vede la partecipazione vocale di Sia (Zero7), mentre il pezzo presente in questa playlist è il conclusivo 'Safety Of Distance': una ninna nanna per voce e trombone di rara bellezza. Come avrei potuto evitare di inserire un pezzo che nel suo inciso ripete la frase: 'Compassion is the measure of a man'? Perchè, anche vista dal lato laico che più laico non si può, non è forse vero? Ecumenico.

6. The Black Keys - All You Ever Wanted (da 'Attack & Release'): I Black Keys da Akron, Ohio cioè Daniel Auerbach (voce e chitarra) e Patrick Carney (batteria) sono giunti al sesto album in sei anni di attività e sebbene il riscontro commerciale sia sempre stato piuttosto scarso, quello dell'amore dei fans dell'indie rock a stelle e strisce non è mai mancato ed è ormai giunto a vette di quasi adorazione. Loro fanno un blues-rock elettrificato di stampo sudista a cavallo fra Nashville e New Orleans con un sound costruito certosinamente e 'prodotto' in ogni minimo dettaglio che riesce quasi sempre però a suonare naturale come fosse un reperto d'epoca. 'Attack & Release' è forse l'apice della loro carriera, un disco prodotto da Danger Mouse (Gnars Barkley) con la collaborazione di Marc Ribot (Tom Waits Band) che pure suona però come fosse bluegrassato alla Lynyrd Skynyrd o vagamente retrò come una sorta di Wilco deviati. 'All You Ever Wanted', il pezzo nella playlist, ma anche l'apripista dell'album, è una sorta di biglietto da visita dei Black Keys: una country ballad (tipo una di quelle che Neil Young non riesce più a scrivere da trentacinque anni a questa parte) che comincia con un'andatura un pò dinoccolata per poi impazzire come la maionese fra orge di chitarre elettriche ed esplosioni di organo hammond. Classicheggianti.

7. Alessandra Celletti - Burning (da "Way Out"): La Celletti è una delle esecutrici planetariamente riconosciute tra le più brave quando si parla delle opere di Georges Gurdjieff, Claude Debussy e soprattutto Eric Satie. Proprio al suo 'Esotérik Satie' del 2000 deve la sua fama negli ambienti, anche i più snob, della musica classico-contemporanea da Parigi a New York, passando per Londra. Lo scorso anno poi la svolta con 'The Golden Fly', album in cui per la prima volta Alessandra si cimenta con composizioni proprie, seppur sempre ispirate al movimento minimalista del ventesimo secolo, mentre con questo nuovo 'Way Out' più che di svolta ulteriore potremmo parlare di vera e propria rivoluzione: non più solo pianoforte, ma anche batteria e voce (e, sorpresa sorpresa, lei ha anche una bella voce!). Mi dovrete quindi scusare se per questa playlist ho scelto uno degli unici tre pezzi strumentali del disco. Il problema è che questa 'Burning' è davvero un piccolo gioiellino che s'è andato pian piano incastonandosi nel mio cuore: un crescendo progressive alla Keith Emerson in cui pianoforte e batteria si inseguono vicendevolmente senza raggiungersi mai fino al finale deflagrante. Chiudo gli occhi e riesco a vedere le fiamme consumarsi nel loro accecante balletto. Passionale.

8. Yael Naim - Lonely (da 'Yael Naim'): Ultimamente rimango sempre più affascinato da questi giovanissimi cantautori di origine israeliana (Keren Ann, Lior, Yoav e molti altri ancora) per la leggerezza quasi fatata delle loro composizioni. Mi colpisce soprattutto quest'aspetto che contrasta fortemente con la realtà delle loro origini, una realtà fatta invece di sangue, distruzione e guerra, come se quelle atmosfere rarefatte, malinconiche, fiabesche, comunque a tinte pastello, potessero in qualche modo esorcizzare il clangore rosso porpora delle bombe umane di Tel Aviv. In questo senso l'album di Yael Naim è il perfetto contraltare di queste ultime con quelle sue atmosfere minimali ed intimistiche, a tratti anche malinconiche, ma sempre caratterizzate da una sorta di gioia di vivere e da un senso di stupore fanciullesco. Ben venga allora anche il singolo 'New Soul' (peraltro il pezzo più brutto dell'album) scelto per la campagna pubblicitaria del MacBook Air che ha portato questa giovanissima franco-israelita, oltrechè sul palco del Festival di Sanremo, fin sulle vette della Billboard chart. 'Lonely' il pezzo che chiude questa playlist è invece una ballad delicata e malinconica, fra Tori Amos e Norah Jones, che comincia in modo soffuso (piano e voce) per poi arricchirsi strada facendo attraverso un sontuoso e johnsoniano quartetto d'archi. Fanciullesca.

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