venerdì 21 dicembre 2007

Fine Anno

Ho trovato davvero commoventi i resoconti settimanali dei contatti del blog durante questi ultimi sei mesi di (mia) inattività. Tra i buoni propositi del prossimo anno c'è anche quello di tornare a fare il blogger con un pò più di assiduità e costanza e però, almeno per gratificare tutti coloro che passano comunque di qui, ecco una compilation downloadabile che comprende parte della musica che più ho apprezzato in quest'anno ormai giunto alla sua conclusione (era ora!!!).



http://rapidshare.com/files/78048844/TheBestOf2007.rar.html

01. Snow Abides. Michael Cashmore ft. Antony
02. To Build A Home. The Cinematic Orchestra
03. Kingdoms Of Rain. Soulsavers ft. Mark Lanegan
04. No One Would Riot For Less. Bright Eyes
05. Magpie. Patrick Wolf ft. Marianne Faithfull
06. Pioneer To The Falls. Interpol
07. Cherbourg. Beirut
08. Resurrection Fern. Iron & Wine
09. Teardrop. Jose Gonzalez
10. Make It Good. Fink
11. It's All A Lie. Keren Ann
12. Everything I Say. Vic Chesnutt
13. Von. Sigur Ros
14. Lump Slum. Bon Iver
15. While You Were Sleeping. Elvis Perkins
16. Long Nights. Eddie Vedder
17. Amado Mio. All My Faith Lost
18. My Body Is A Cage. Arcade Fire

Se invece foste solo interessati alla mia Top 100 degli album del 2007 e non so perchè mai dovreste, vi rimando al mio myspace: http://www.myspace.com/birdantony
A tutti, volenti o nolenti, comunque i migliori auguri per questo periodo di festività che, sempre volenti o nolenti, ne abbiamo un pò tutti bisogno!
ciauz!

martedì 5 giugno 2007

Fusa & Fuso

No, no non parliamo ne di fusione, ne di pazzie bensì di..

Keren Ann - Keren Ann

Original Release Date: May 8, 2007
Label: Blue Note Records
ASIN: B000KZRO1I


1. It's All a Lie

2. Lay Your Head Down

3. In Your Back

4. The Harder Ships Of the World

5. It Ain't No Crime

6. Where No Endings End

7. Liberty

8. Between The Flatland And the Caspian Sea

9. Caspia


Ho sempre pensato a questa affascinante cosmopolita francoisraelorussonewyorkese come ad una micina supersexy che si stiracchia indifferente per poi ammaliarti consapevole con uno sguardo killer. Il tutto sulla superficie desertica della luna. No non è colpa del mio pusher e questo suo quinto album (il terzo cantato in inglese) ne amplifica la visione e ne delinea ancor più i contorni. Frrrrrrrr.. L'apertura è affidata alla psichedelia artefatta di 'It's All A Lie" che tratteggia soavi inquietudini notturne, ma il sole fa già capolino con la successiva 'Lay Your Head Down' una pop song alla Gainsbourg/Birkin impreziosita da armoniche a bocca e vocalizzi corali. 'In Your Back' e 'The Harder Ships Of The World' invece ci riportano su una dimensione più malinconica ed intimistica fra esplosioni d'archi ed arpeggi di chitarre elettriche ed acustiche. 'It Ain't No Crime' è una sublime marcia dark-wave con distorisioni amplificate e voce megafonata, ma pur sempre un intermezzo perchè con la successiva 'Where No Endings End' dal sapore decisamente jazzy e soprattutto con la piano ballad 'Liberty' si ritorna alle atmosfere rarefatte, quelle dei migliori Air insomma, dove i sussurri della Ann trionfano tra perfide seduzioni ed altere divagazioni. Il finale è invece riservato al sorprendente, almeno per lei, country-folk beatlesiano di 'Between The Flatland..' e all'elettronica funky (!!!) di 'Caspia' che fa forse presagire per lei futuri scenari musicali altresì desueti. Un album, in sostanza, complesso ma affatto complicato, raffinatissimo ma affatto snob, davvero originale nella sua eterogeneità: un vero e proprio scrigno stracolmo di gioielli. Keren Ann merita ormai davvero di dismettere le scomode vesti di artista di culto (non esiste alcun cantautore indie, anche i più noti, che non la indichi tra i propri favourite artists) per entrare a pieno merito nel gotha dei più grandi nel panorama musicale odierno. Dai Keren scendi giù dalla luna e smettila con le fusa..

Un altro cantautore davvero poco convenzionale il cui secondo album m'è capitato poco per caso fra le mani è invece Chrisopher Blue.

Chrisopher Blue - Room Tones

Original Release Date: April 17, 2007
Label: Sarathan Records
ASIN: B000O5907A

1. Ghost In The Night
2. After All I've Heard You Say
3. Such Love
4. Equanimity
5. The Moon I Dream Of
6. These Thoughts
7. Good Time Baby
8. Alone
9. What You Need
10. Mandrake
11. Outtake
12. Disquietude
13. Scarecrow

Non ha il physique du role come James Blunt ne l'impegno politico di Ben Harper o Bright Eyes, non ha il cognome italiano come Paolo Nutini o Jack Savoretti (di cui senirete ben preeeesto parlare, ci scommetto), nessuna cupezza alla Damien Rice, nessuna dolcezza alla Ray La Montagne, niente elettronica lo-fi alla David Gray ne sinfonie d'archi alla Rufus Wainwright, nessuna aria da pifferaio magico alla Devendra Banhart e nessuna sessualità incerta alla Antony & The Johnsons insomma un alieno nel panorama cantautorale odierno. Uno che vive completamente su un altro fuso orario, insomma. Chitarra acustica, basso e batteria, accompagnati qua e la, da una tastiera o da una chitarra elettrica a sorreggere 13 tracce che, per la verità, si sorreggono benissimo da sole e a cui non è possibile togliere nulla col fatto di non avere vagonate di hype (beh non tutti hanno la fortuna di essere i quattro brufolosi inglesi di turno freschi di college a cui hanno insegnato a fare un pò di fucking noise con 4 accordi di chitarra elettrica, no?) o di non essere state scritte e suonate dal coolest songwriter del momento. E' rock acustico, ma anche con camionate di soul e di jazz, dentro a questo disco intenso e sorprendente che a tratti rieccheggia a cose di Mark Lanegan altre volte a Tom Waits, seppure con minori dosi di nicotina. Ad ogni modo Chrisopher non ammicca e non si atteggia mai ne vocalmente ne con espedienti furbetti a livello di arrangiamenti e a ben vedere non ne avrebbe nemmeno in questo caso bisogno. Per lui parlano queste 13 canzoni sincere, dirette, in una parola: belle (senza fronzolo alcuno). Un disco che se ti capita per sbaglio di ascoltare un pò di radio o di guardare alla TV qualche canale musicale poi lo metti su in cuffia e ti riconcilia con la musica. Quella che si scrive, che si suona (e che si ascolta) col cuore. E senza jetlag nonostante il fuso orario..

lunedì 28 maggio 2007

29.5.1997-29.5.2007

Una goccia pura in un oceano di rumore. Forse niente meglio di questa celebre metafora, usata da Bono degli U2 come epitaffio e divenuta ormai celebre, descrive pienamente quello che è stato Jeff Buckley. Un artista che ha attraversato il rock degli anni 90 come la più fulgida delle comete: una sola, accecante fiammata, per poi sparire improvvisamente, lasciando dietro di sé una scia ancor oggi luminosa. Era il 29 maggio del 1997 quando, poco più che trentenne, il figlio di Tim Buckley si immerse nelle acque di un affluente del Mississippi per non uscirne più. Da allora, il culto di cui già godeva in vita è diventato leggenda, continuando a crescere e, in diversi modi, a lasciare il segno. Un fatto non usuale, considerando che il cantautore e chitarrista californiano aveva all’attivo soltanto un album, quel Grace che nel 1994, sul tramontare dell’era grunge, rimise un po’ di cose in discussione. Eppure, a dieci anni da quella tragica scomparsa, la memoria di Jeff resta prepotentemente vivida, impressa nelle menti e negli animi sia di migliaia di vecchi e nuovi fan, sia di decine di artisti che lo citano come influenza primaria (tacendo di tutti coloro che, probabilmente, non avrebbero neanche intrapreso una carriera se non l’avessero mai sentito). Come per molte illustri personalità – e vittime – del rock prima di lui, che tanto nella vita quanto nella morte hanno lasciato impronte indelebili del loro passaggio, giunge ancora una volta il momento di tirare le somme, specialmente adesso che, in qualche modo, lo shock della scomparsa è stato metabolizzato. Non che nel frattempo Buckley sia stato estraneo alle cronache, anzi: sono stati scritti libri, saggi, innumerevoli articoli; sono uscite raccolte postume, dischi dal vivo e dvd (per le ultime uscite vedi il box a pagina 42); sono state realizzate canzoni, concerti e album tributo; sono stati girati documentari, e – a quanto pare – sono ufficialmente partiti i lavori persino per l’inevitabile biopic. Di Jeff si parla e si continua a parlare, insomma, e non solo relativamente alla sua perdita e alla sua musica. Per questo, al di là delle dovute commemorazioni, mai come oggi è interessante cercare di capire quale sia stato effettivamente il suo lascito. Capire perché, come artista, merita di essere contato tra i grandi, della sua generazione e non solo. Qual è stata la sua importanza a lungo termine, nella storia del rock? In che modo ha caratterizzato il decennio di cui è stato protagonista? In cosa consisteva il suo mito? Qual è la sua eredità, e chi sono oggi i suoi eredi? Come è sopravvissuta la sua musica? Come deve essere ricordato, oggi? E soprattutto, chi era veramente Jeff Buckley?
Ci ha aiutato a ricostruire questo percorso una testimone d’eccezione: sua madre, Mary Guibert, alla quale – com’è noto – è affidata la gestione del suo patrimonio artistico. Figura controversa, personaggio amato e odiato come spesso avviene in questi casi, è solo e soltanto a lei che bisogna fare riferimento per ogni cosa che riguarda il figlio, dall’uso del nome e delle canzoni alle discusse pubblicazioni postume, fino a tutti i progetti in qualche modo a lui collegati. Da dieci anni a questa parte, Mary ricopre questo ruolo in modo sicuro (per certi versi diremmo spregiudicato), mantenendo saldamente il controllo in circostanze spesso delicate, unendo con estrema accortezza – e altrettanta naturalezza – lo spirito materno con quello imprenditoriale. “Come madre e come donna d’affari, mi preoccupo di quello che la gente dice di mio figlio, e di come ciò che faccio nel suo nome – o meglio, ciò che permetto venga fatto – viene accolto dagli altri. Per questo leggo tutte le recensioni e gli articoli, mi tengo costantemente aggiornata. È la mia prima preoccupazione. Per il resto, non c’è niente nel mio lavoro che prevede che io dica agli altri cosa devono fare; devo solo essere onesta, sincera e diplomatica”.

Per avere un’idea dell’impatto che Jeff Buckley ebbe sul mondo (rock e non solo), bisogna fare un balzo indietro di una quindicina d’anni. Facile immaginare come, all’inizio dei 90, la sua comparsa sulle scene fu una sorta di rivelazione. La rivoluzione grunge era in piena esplosione, uno scossone tremendo e rumoroso che stava cambiando inesorabilmente la faccia del rock e della musica popolare in generale, segnando le sorti della decade in corso. In un’era in cui la figura del cantautore sembrava destinata ad estinguersi, in cui il canto era concepibile soltanto come urlo di rabbia o lamento di insoddisfazione, in cui – complice anche la morte di Kurt Cobain – gli eroi sembravano del tutto scomparsi e imperava nient’altro che la disillusione, ecco arrivare questo ragazzo dalla voce d’angelo, capace non solo di colmare quei vuoti, ma di diventare uno degli artisti più amati e venerati del decennio intero. La scomparsa prematura, poi, non ha fatto altro che sigillarne il mito, ad uso e consumo degli adoratori della grande Chiesa del rock. Ché del mito, la sua storia ha tutti i requisiti: un artista bello, bravo (straordinariamente bravo), morto giovane, tragicamente. Ma al contempo, quello di Buckley non è il solito mito rock, legato a fattori come fama ed eccessi. Più che della classica rockstar maledetta, annientata da una vita condotta al massimo (Jimi Hendrix, Jim Morrison, Janis Joplin, lo stesso padre), o sconfitta da ciò che il successo gli aveva portato e dai propri demoni interiori (Cobain), la sua figura aveva i tratti dell’eroe romantico, strappato alla vita da un destino ineluttabile (facile individuare nelle sue liriche diversi presagi). Apparentemente, Jeff fece di tutto per tramandare ai posteri questa immagine di sé. Basterebbe solo Grace, sin dalla copertina, così stridente con i tempi allora correnti: in mezzo all’immondizia – in senso estetico, s’intende – del grunge e la sciattezza del lo-fi, allora imperanti, ecco questa sorta di James Dean del rock, che intona con voce limpida canzoni di amore e perdita, di sofferenza e di riscatto, di romanticismo e di bellezza, di redenzione e di morte. Nell’immaginario collettivo, Buckley si è così trovato ad incarnare una figura quasi angelica, profondamente legata ai concetti di purezza (vedi la frase di Bono in apertura), di bellezza (al punto che, prima di debuttare su disco, gli era stata proposta una campagna come modello per una catena d’abbigliamento), di spiritualità (in senso lato, ma anche letterale: fu tra i pochi occidentali a cimentarsi con il canto religioso pakistano, il qawwali) e, appunto, di grazia. È probabilmente l’avere portato questi concetti all’interno del rock – insieme al talento che mostrava nel fare arte, ovviamente – una delle maggiori cause del successo e dell’amore che da subito lo ha legato al suo pubblico. Dietro questa facciata romantica però, c’era senza dubbio una personalità complessa, enigmatica, ricca di sfaccettature inaspettate. A seconda delle testimonianze, Jeff poteva essere tanto introverso e cupo quanto espansivo, clownesco, imprevedibile; passava con disinvoltura dal sarcasmo feroce all’ironia acuta, dalla dolcezza estrema alla rabbia incontenibile, tanto nelle canzoni quanto nella vita di ogni giorno (basta sentirlo parlare nelle registrazioni dei concerti per averne prova). Jeff aveva un lato luminoso, ma anche un lato oscuro, legato nel profondo al trauma dell’abbandono da parte del padre e dell’essere confrontato costantemente con la sua leggenda, uno degli argomenti che più lo turbavano e al contempo lo ossessionavano (vedi box a pagina 45); nonostante ciò, al centro della sua vita c’è stata sempre e soltanto la musica: nessuno scandalo, nessuna storia perversa, soltanto una grande passione e amore sconfinato per la propria Musa. A questo proposito, Mary Guibert chiarisce e approfondisce ulteriormente: “Non si dice mai abbastanza quanto Jeff fosse divertente, che comico straordinario era. Viene sempre descritto come una persona cupa e triste; ma è solo l’aspetto che i giornalisti hanno voluto enfatizzare – non li biasimo, dopotutto anche loro sono persone creative. In realtà, se Jeff risultava sfuggente ed enigmatico è semplicemente perché non aveva creato un personaggio per sé. Tipi come George Clooney o Brad Pitt possono essere descritti in poche parole perché sono celebrità che impersonano la maschera su cui hanno lavorato diligentemente. Ma quando una persona è reale, non può essere descritta in poche parole. Piuttosto, Jeff era complesso, non cupo o enigmatico. Le persone vere e autentiche presentano sempre aspetti molteplici, delle sfumature spesso difficili da cogliere. Per esempio, un’altra cosa che andrebbe ricordata di lui è la grande abilità che aveva nell’imparare, e la dedizione che metteva in tutto ciò che faceva. Per tutta la sua vita l’ho visto studiare e lavorare diligentemente su ogni cosa in cui si cimentava, dalla musica alla letteratura, dalla poesia alla filosofia. Ha sudato moltissimo per assorbire gli stili dei suoi grandi maestri e per crearne uno tutto suo, dal punto di vista vocale e strumentale. Pur non avendo studiato al college (si diplomò come chitarrista al Musician Institute di Hollywood, nda), aveva un’incredibile collezione di libri per essere un autodidatta, da Sartre a Goethe – in tedesco! – fino ai poeti francesi. Jeff era come una spugna, e grazie a questa sua dote si è perfino trovato accanto ad alcune delle persone più importanti del nostro tempo. Ai tempi del progetto su Edgar Allan Poe (l’album di reading Closed On Account Of Rabies: Poems & Tales by Edgar Allan Poe, pubblicato dalla Mercury nel 1997, nda), Allen Ginsberg gli ha insegnato a leggere in pentametri giambici. Amava talmente la musica di Nusrat Fateh Ali Khan (il cantante sufi da sempre idolo dichiarato di Jeff, nda) da studiare la lingua in cui cantava, l’Urd”.
Tutte qualità che si riversarono nella musica e nella carriera di Jeff, consentendogli di sviluppare una passione e una versatilità fuori dal comune. La sua curiosità insaziabile, senz’altro ereditata dal padre, lo portò a cibarsi di qualsiasi tipo di influenza e genere musicale, si trattasse di rock, jazz, prog, blues, folk, new wave, punk, classica, soul, indie, hardcore, world music. Buckley era capace di mettere insieme Nina Simone e MC5, Edith Piaf e Led Zeppelin, Van Morrison e Bad Brains, Robert Johnson e Doors, Bob Dylan e Smiths; innumerevoli ingredienti che andarono a riversarsi nel suo songwriting e nel suo stile, immortalati per sempre in Grace. Un album di pop-rock dalle trame profonde e dalle innumerevoli sfumature, di brani dalla struttura complessa ma dall’appeal altrettanto immediato; qualcosa di familiare, ma allo stesso tempo diverso da ogni cosa che si sentiva allora, nel 1994. Riascoltando oggi quella musica ora potente ed epica, ora delicata e intimista, ora eterea e mistica, ora terrena e passionale, è sempre percepibile quella pulsione vitale, quel fascino melodrammatico, quella bellezza che, senza mezze misure, lasciava a bocca aperta e stregava chiunque vi venisse a contatto. Non deve quindi stupire se, nelle previsioni tanto degli appassionati quanto dei discografici che avevano scommesso su di lui ogni dollaro possibile (tra l’altro, sulla sola base dei set di cover eseguiti al Sin-é, caffè dell’East Village divenuto poi celebre), Buckley avrebbe potuto essere il nuovo Dylan, il nuovo Springsteen. Lui però preferiva muoversi cauto, in una sorta di incertezza che, unitamente al tragico destino che lo attendeva, lo portò a realizzare in vita molto meno di quanto avrebbe realmente potuto. “Jeff non ha mai avuto dubbi sul suo talento e le sue potenzialità”, commenta Mrs. Guibert. “Sin da quando cominciò ad esibirsi nei caffè a New York, sapeva perfettamente che avrebbe potuto vivere di musica. Le sue incertezze piuttosto riguardavano il music business. Quando firmò per la Columbia Sony, sapeva che puntavano a farlo diventare il numero uno, ma la sua più grande paura era di essere trattato come una one hit wonder. Le case discografiche possono orientare il mercato, ma se il pubblico non segue le tendenze, le prime vittime del meccanismo sono gli artisti. Jeff voleva assolutamente evitare questo. Quando uscì Grace, lo caricarono su una limousine per mostrargli un’enorme gigantografia della copertina del disco che avevano esposto in Times Square; anziché mostrare orgoglio e stupore, ci mancò poco che scappasse via sgattaiolando dal finestrino. In lui c’era un enorme conflitto fra il dover essere un artista e un uomo d’affari allo stesso tempo. Per questo, il più grosso consiglio che ho mai potuto dargli è quello di essere sempre l’unico padrone del suo destino, di non lasciare che nessun altro, eccetto lui, avesse il controllo sulla sua vita”.

Come per tutti gli artisti che hanno realmente lasciato il segno, l’eredità di Jeff Buckley va oltre la produzione discografica e il suo stesso mito: nella storia della musica recente, si può ben individuare un prima e un dopo. La sua opera ha definito un canone universale, portando definitivamente nel mondo del pop un approccio e uno stile, soprattutto canoro, che prima di lui soltanto il padre aveva osato sperimentare, con esiti ad oggi ancora irripetibili. Se però Tim ha anzitutto agito a livello sotterraneo, raccogliendo più estimatori e cultori che veri e propri epigoni, la maggiore esposizione di Jeff e la comunicatività della sua musica hanno fatto sì che il suo stile divenisse uno tra i più emulati in assoluto. Già negli anni in cui era attivo, alcuni musicisti restarono profondamente toccati dalla sua sensibilità, trasferendola nella propria arte: è il caso dei Radiohead (la leggenda vuole che Fake Plastic Trees sia stata ispirata da un concerto londinese del nostro), dell’amico Chris Cornell (il cui debutto solista del 1999 risente moltissimo dello stile di Jeff), di PJ Harvey (da sempre dichiarata estimatrice della sua opera). A partire dal 1998, si sono affacciati sulle scene numerosi artisti indubbiamente debitori della sua lezione: i nomi sono tanti, a partire dal pop inglese romantico di Coldplay, Travis, Muse e Starsailor (che inoltre prendono il nome dal più famoso album di Tim), attraverso songwriter come Ed Harcourt, Maximilian Hecker, Ben Christophers, Rufus Wainwright (designato dall’illustre critico Nick Kent come unico, possibile erede), fino agli acclamati Damien Rice e Antony & The Johnsons, che hanno conquistato le platee di mezzo mondo grazie a qualità canore analoghe a quelle del nostro. Nel 2005, anche l’attuale scena indie ha pagato pegno, con il bel tributo Dream Brother: The Songs Of Tim And Jeff Buckley, i cui protagonisti sono nuovi cantautori di tutto rispetto come Sufjan Stevens e Micah P. Hinson, e proprio in questi mesi stiamo assistendo all’ascesa di Joan As Police Woman, ovvero Joan Wasser, che di Jeff è stata compagna negli ultimi anni di vita. Insomma, anche se riflessa nell’opera di altri artisti, la luce di Buckley continua a brillare; tuttavia, l’intensità e la complessità che ne hanno contraddistinto i passi terreni erano talmente uniche da restare ineguagliabili. “La sua vera eredità va oltre la musica stessa”, afferma Mary. “Una volta mio figlio disse a un giornalista: il mio lavoro è intrattenere, non sono un chirurgo, non salvo la vita della gente. Eppure, molte persone là fuori direbbero che Jeff ha realmente salvato le loro vite, in senso spirituale, s’intende; ha avuto il potere di elevare i suoi ascoltatori verso un livello di coscienza superiore. Nelle sue canzoni voleva capire la vita, l’amore, e a volte riusciva ad avvicinarsi alla verità più degli altri. Credo che sia questo il motivo perché le sue canzoni hanno toccato così tante persone, e perché la sua musica sia tanto influente”.

A un livello più terreno, la vita artistica di Jeff Buckley si è protratta ben oltre la sua scomparsa. Con la severa e immancabile supervisione di mamma Guibert, dal 1998 ad oggi sono stati pubblicati ben sei album postumi: due di inediti in studio (Sketches For “My Sweetheart The Drunk”, contenente il materiale per l’incompiuto seguito di Grace, e Songs To No One, con il chitarrista Gary Lucas – vedi box a pagina 44), due dal vivo (Mystery White Boy, Live à l’Olimpia), due ristampe espanse (Live At Sin-é e Grace Legacy Edition); a questi si aggiungono un dvd (Live In Chicago) e un cofanetto di cd singoli (The Grace Eps). Una media indubbiamente alta per un artista che, in attività, ha pubblicato poco più di una decina di canzoni. Su questo punto la critica e il pubblico rock si sono divisi, e anche tra gli stessi fan di Buckley sono sorte opinioni divergenti sull’opportunità di tali operazioni. Se dal canto nostro ci limitiamo a segnalare Sketches, Mystery White Boy e il Sin-é deluxe come le uscite degne di nota, per il resto lasciamo che sia la stessa Mary a illustrarci il suo punto di vista: “La mia vita avrebbe potuto essere così diversa. Già immaginavo di passare il resto dei miei giorni con addosso una t-shirt con su scritto ‘sono la mamma di Jeff Buckley’, a ricevere i vip nel nostro salotto. E invece… mi sono trovata sola, col mio immenso dolore e un’eredità da gestire. Mi sono però resa conto che, anziché lasciarlo degenerare in devastazione e distruzione, potevo usare il dolore per fare qualcosa di positivo. E così, preservare l’eredità di mio figlio è diventata la ragione per alzarmi al mattino. Non c’è modo di sapere che cosa lui avrebbe voluto, quale sarebbe stato il modo perfetto di fare le cose. Quindi da subito, la cosa più importante per me è stata di impedire che le compagnie discografiche rendessero Jeff un prodotto commerciale. Ho voluto che ogni uscita fosse una gemma, e ho cercato di contenere tutte le offerte che mi venivano fatte. In casi simili, ci sono stati artisti che hanno pubblicato venti o trenta dischi dopo la morte”.
Mentre l’elenco delle uscite postume si allunga ulteriormente con un best of e la messa in commercio del documentario indipendente Amazing Grace, Mary ci rivela che la prossima pubblicazione, prevista per l’autunno, sarà un dvd di apparizioni televisive successive all’uscita di Grace, per poi parlarci del progetto più importante.
Già dalle pagine del sito ufficiale jeffbuckley.com aveva reso noto che, dopo infinite pressioni e proposte, sarebbe stato realizzato un film biografico tratto dal libro di David Browne, Dream Brother: The Lives And Music Of Jeff And Tim Buckley (2001). “Continuavano a sottopormi copioni su copioni, era terribile! Così alla fine ho ceduto e ho cercato io stessa uno sceneggiatore, Brian Jun. La lavorazione è ancora agli inizi: al momento il copione è alla seconda bozza, e penso ci vorrà ancora un po’ di tempo. È un processo lento e laborioso, anche perché stiamo cercando di ricostruire i fatti nella maniera più veritiera possibile”.
Infine Mary ci fa sapere che, presumibilmente nel giro di due o tre anni, saranno messi in vendita sul web numerosi bootleg di concerti, e che ci sarebbe l’intenzione di rielaborare in futuro alcune tracce incompiute, per lo più frutto di jam session in studio. Francamente, ci auguriamo che quest’ultima cosa non accada mai.

Cantava Tim Buckley nel 1967: “A volte mi chiedo, anche solo per un momento / Ti ricorderai di me?”. Quasi trent’anni dopo, rispondendo a un intervistatore, suo figlio aggiunse: “Non ho bisogno di essere ricordato. Spero che venga ricordata la musica. Io voglio essere ricordato solo come un buon amico”.
È stato davvero così? In tutti questi anni, l’affetto per Jeff Buckley come persona e come artista non è mai venuto meno. Sfogliando il booklet dell’antologia So Real, guardando documentari come Amazing Grace o Everybody Here Wants You (BBC, 2002), sorprende il numero di testimonianze raccolte, e l’entusiasmo delle stesse. Come se Jeff avesse lasciato davvero qualcosa di indelebile nelle persone che ha incontrato, o che comunque ha toccato con la sua musica. Su questo, Mary concorda: “Qual è la definizione di ‘un buon amico’? Una persona che ti dice realmente cosa hai bisogno di sapere, che ti accetta per quello che sei. E Jeff, con la sua musica, lo ha fatto”.

Articolo tratto da JAM numero 137 (Maggio 2007): http://www.jamonline.it

venerdì 18 maggio 2007

I salvatori di anime

Dopo la lettura di una serie impressionante di critche piuttosto negative, mi sono deciso: questo era un disco che andava quanto meno ascoltato. E confesso che è bastato davvero poco a porlo tra i miei assolutamente preferiti dell'anno, fatto di cui peraltro non dubitavo affatto viste le premesse. Davvero un disco entusiasmante.

Soulsavers - It's Not How Far You Fall, It's The Way You Land


Original Release Date: April 2, 2007
Label: V2 Int'l
ASIN: B000LC4Y3Q

1. Revival
2. Ghosts Of You And Me
3. Paper Money
4. Ask The Dust
5. Spiritual
6. Kingdoms Of Rain
7. Through My Sails
8. Arizona Bay
9. Jesus Of Nothing
10. No Expectations

E come non entusiasmarsi, infatti, di fronte alla sua apertura con la voce polverosa, da crooner a sonagli, di Mark Lanegan a guidare un improbabile coro gospel sopra un'atrettanto improbabile base trip-hop downtempo? Beh, detta così sembrerebbe effettivamente una stranezza, e peraltro non sarà l'unica proseguendo con l'ascolto, ma saranno tutte caratterizzate da un pathos e da un'intensità che lasceranno il segno. E 'stranezza' potremmo definire l'intera gestazione di questo disco. I Soulsavers sono infatti due DJ inglesi già noti per precedenti escursioni musicali in perfetto Bristol sound, probabilmente giunte fuori tempo massimo laddove addirittura i capi tribù del genere (Tricky, Portishead e Massive Attack) sembrerebbero aver detto tutto il dicibile e suonato tutto il suonabile. Questo però fino a che Rich Machin e Ian Glover (i Soulsavers, per l'appunto) non decidono di dar carta bianca ad un "tale" Mark Lanegan: sopra le sue inconfondibili voce e fender statocaster eccoli sviluppare atmosfere, partendo dagli abituali spunti blues laneganiani, che vanno ben oltre i dettami del trip-hop, fino a spingersi nel post-rock e nell'ambient, per una scaletta che ripartisce equamente questo album straordinario, fra originali, strumentali e covers. Grandiosa, ad esempio, l'intensità emotiva di Lanegan nella conclusiva 'No Expectations' (cover degli Stones) nella quale a tratti affiorano deja-vu del lamento nichilista di Antony & The Johnsons, sublime la rivisitazione down-tempo della vecchia 'Kingdoms Of Rain' (tra le mie preferite del vasto repertorio laneghiano), tremebonda (in senso buono) la preghiera ambient 'Spiritual', fino ad arrivare ad un sogno che si avvera. Vabbè, magari avrei desiderato mi si avverasse un sogno un pochettino più consistente, però avevo sempre desiderato poter ascoltare le voci così disomogeneamente caratteristiche di Mark Lanegan e Will Oldham (cioè Bonnie Prince Billy) cimentarsi sullo setsso pezzo, peraltro le mie due preferite, se parliamo di voci maschili e se non facciamo rientrare quella di Antony nella categoria. Ed eccole in 'Through My Sails', vecchio classico di Neil Young, meravigliosamente intrecciate: la ruvida concretezza e il delirante delicato insieme. Beh, poi si può davvero volare accompagnati dalla grandezza di una canzone: e al diavolo la critica colta. La mia forse non ne aveva bisogno in questi termini, ma è anch'essa un'anima in un certo senso appagata da questo viaggio sonoro che quando giunge al termine non sa affatto più di stranezza. Alla sua salvezza penseremo poi.

lunedì 14 maggio 2007

Io Dico

Alla fine la mega sagra del cattolicume, s'è consumata. E s'è consumata secondo ogni logica previsione: grande affluenza con pulman partiti da quasi ogni parrocchia italiana (che poi a ben vedere è meglio usare l'8 per mille di chi glielo da in questo modo, piuttosto che nell'organizzazione di fiaccolate a favore di detenuti accusati di pedofilia, come accaduto a Brescia e Rignano), politicume vario intrudendum (peraltro tra il meno credibile possibile a livello di monogamia) a far da .capopopolo, e negazione (anzi aberrazione) verso qualsiasi legge (anche la più insulsa come i dico) che estenda alcuni basilari diritti (e DOVERI, ma questi se li scordano tutti) civili, sociali ed economici a tutte le forme di convivenza. Ne è dunque seguita (e ne seguirà ancora) la strumentalizzazione politica, ma almeno in questo caso è e sarà strumentalizzazione consapevole, nel senso che i partecipanti al grido (ipocrita) di: "questa non è una manifestazione contro i dico" sono stati ben lieti però di farsi strumentalizzare in tal senso. Personalmente io credo che mai come sabato scorso la 'famiglia' sia stata villipesa e degradata ideologicamente. L'hanno abbassata a livello delle licenze dei taxi o dei farmaci da banco, issandola come stendardo reazionario allo stesso modo dei cartelloni irridenti di tassisti e farmacisti che protestano contro le liberalizzazioni. "Ahò, ma li ricchioni se rubbano le case popolari de noantri!". Si perchè in fondo in fondo, sotto lo strato di ideologia clericale e ancor più sotto la difesa di certuni valori morali, si fa leva sempre su quel punto là: "Il mio piatto non è pieno, ma comunque riesce a sfamarmi. Perchè dovrei darne un boccone anche al prossimo? E poi se resto senza io?". Si è stato umiliante, anche per chi come me non crede in niente, vedere la Santa Romana Chiesa far leva proprio sulla negazione assoluta del più assoluto (e rivoluzionario) concetto cristiano, quello dell'ama il prossimo tuo come te stesso. Ed è stato parimenti irritante ascoltare questi sbarbatelli di buona famiglia farci il predicozzo su quello che significa la responsabilità dell'amore, come se chiunque abbia mai conosciuto l'amore, seppure per un solo istante, non abbia percepito l'innata responsabilità che l'amore (qualsiasi tipo d'amore) comporti. L'etica della responsabilità credono di poterci insegnare, lorsignori, quella stessa etica secondo la quale il 75% degli astenuti al referendum sulla fecondazione assistita erano tutti contrari all'abrogazione della legge 40/04 e che quindi oggi dovrebbe portare noi a pensare che il 99% degli italiani (cioè quelli che non sono scesi in piazza al Family Day) sono tutti a favore dei Dico, sbaglio? Vogliamo davvero un'etica di giustizia sociale e di libertà individuale, la vuole davvero popolo scientemente e coscientemente strumentalizzato sabato scorso a Roma? Allora sappiano che in Italia un lavoratore dipendente single con reddito di 20.000 euro annuo ne paga 3.629 di tasse, mentre se con moglie a carico e due figli ne paga 'solo' 1.342, tra dichiarazione congiunta e sistema delle detrazioni. E questo di fronte a tutte le altre legislazioni europee, in cui le differenze fiscali fra nuclei mono e pluri familiari sono quasi a zero. E nei single sono ricompresi (ovviamente) anche chi single non è poichè comunque convivente. E anche senza una legge che ne stabilisca una pari dignità economica almeno che ne venga riconosciuta quella affettiva. Non c'è società se non c'è famiglia, ma non c'è società se manca anche un minimo di giustizia. Io dico (e sempre dirò).

mercoledì 9 maggio 2007

Familiarietà...



da http://familiesnight.splinder.com

APPROVO E PROMUOVO!!! :)

“Bloggers uniti in difesa dei diritti delle minoranze e della laicità dello Stato”.


Accendi, con una candela, la speranza di veder riconosciuti i diritti di tutte le famiglie, di tutte le forme di amore.

Sabato 12 maggio parte del mondo cattolico si riunirà a Roma per il “Family Day”. Una manifestazione, nata chiaramente come risposta alla proposta governativa dei Dico, che vuole promuovere un unico modello di famiglia: quello descritto nel manifesto della CEI.

Il “Family Day” è figlio dei “Non possumus”, di una concezione atavica di famiglia che non comprende le famiglie di fatto, e cioè le coppie non coniugate che convivono stabilmente, con o senza prole, od anche i nuclei familiari composti da coppie omosessuali o costituiti dal singolo genitore e dai figli riconosciuti.

Noi crediamo che anche a queste altre famiglie vadano riconosciuti i diritti già acquisiti nella stragrande maggioranza dei paesi europei, nel rispetto soprattutto del sentimento che caratterizza più di tutti queste unioni: e cioè l’amore.

Per questo lanciamo, con la forza del dialogo e del “Possumus", il “Families Night”.

La notte che precede il 12 maggio, l’11 maggio alle ore 21,30, accendiamo una candela nelle finestre delle nostre case, accendiamo la speranza dei diritti per tutte le famiglie, illuminiamo la notte dall’oscurantismo di chi si ostina a non volere considerare uguali tutte le forme di amore.

Per la riuscita dell'iniziativa, vi chiediamo di pubblicizzare l'iniziativa nei vostri blog con dei post dedicati. Sono altresì a disposizione un bannerino (il codice è nella colonna a destra) e un volantino, che potrete utilizzare per coinvolgere i condomini della vostra abitazione.

Inviateci, nei giorni successivi il "Families Night", le foto delle facciate dei vostri palazzi, illuminati dalle candele, in seguito verranno pubblicate su questo blog come memoria dell'iniziativa.

Lasciate la vostra adesione nei commenti in fondo al blog. Per contattare gli autori dell'iniziativa scrivi a "Families Night"

giovedì 3 maggio 2007

Basta! (Azione/Reazioni)

Azione:
Andrea Rivera «Il Papa ha detto che non crede nell'evoluzionismo. Sono d'accordo, infatti la Chiesa non si è mai evoluta. Non sopporto che il Vaticano abbia rifiutato i funerali di Welby. Invece non è stato così per dittatori sanguinari da Pinochet a Franco e per uno della banda della Magliana».

Reazioni:
L'Osservatore Romano «Sono terrorismo i vili attacchi contro il Papa fatti durante il concerto del Primo Maggio ripreso in diretta Tv».
Romano Prodi «Scriteriati ci sono sempre, persone che usano il linguaggio al di sopra delle righe ci sono sempre».
Sandro Bondi (FI) «Provo un senso di preoccupazione e di disgusto per il degrado politico, civile e culturale che sommerge il Paese».
Luca Volontè (UDC) «Parole volgari, offensive e arroganti».
Savino Pezzotta «Rammarico per le invettive contro il Papa e la Chiesa».
On. Gianfranco Fini «Becera propaganda anticlericale».
Riccardo Pedrizzi (AN) «Rivera non si è limitato a criticare, ma ha insultato il Papa e ha detto che la Chiesa non può e non deve esprimere liberamente la sua opinione».
Renzo Lusetti (Margherita) «Durante il concertone non bisognava infierire contro la Chiesa e il Papa con offese gratuite».
Mauro Fabris (Udeur) «Lo show del comico è un fatto grave e pericoloso».

Mi fermo qui che, sebbene possa continuare ancora per molto con le reazioni, credo possa bastare ad introdurre un mio semplice concetto. Premetto che Andrea Rivera non mi era mai stato simpatico e per me era solo quello che andava a suonare i citofoni nella trasmissione della Dandini (magari anche un pò "raccomandato" da una certa odiosa sinistra salottiera), però.. Però francamente non riesco a trovare ne terrorismo, ne vili attacchi, ne invettive, ne insulti nelle sue parole. Trovo invece la semplice esposizione della reale verità. E quando l'esposizione della verità offende, spaventa ed attira un coro così unanime di attacchi sono io a sentirmi indignato, profondamente indignato. Quando si cerca l'omologazione in un pensiero unico e si cerca di annichilire chi la pensa in modo diverso si pianta il seme del totalitarismo. Ci abbiamo messo decenni a liberarci dai totalitarismi politici, critichiamo tutti tanto la civiltà teocratica islamica e vogliamo, proprio noi, far passare uno strisciante totalitarismo cattolico? Io credo che ogni tanto bisogna dire: Basta! E bisogna che lo diciamo anche con le nostre piccole, flebili ed inudibili vocine; altrimenti loro, che nonostante tutto sono una minoranza si sentiranno maggioranza totalitaria (come è accaduto col referendum sulla procreazione assistita in cui si sono appropriati anche dell'inespressa volontà dei silenti menefreghisti). Lo dico ancora: Basta! Basta a chi vuole entrare nelle nostre vite, nei palazzi di chi ci governa imponendo leggi o minacciandone altre, dentro le nostre lenzuola per vedere con chi scopiamo, nei nostri rapporti d'amore stabilendone se e quanto siano da tutelare ed ora anche nelle nostre teste per annientare la verità. Loro possono dire, sermonare, pontificare su tutto e su tutti, ma non tollerano il minimo dissenso. Basta, cazzo!

venerdì 20 aprile 2007

Stelle barocche

Ultimamente sto parlando solo di musica, ma le variabili endogene ed esogene che reggono le leggi del mio universo sembrano richiederlo. Mah, prima o poi, ricomincerò a parlare anche d'altro spero (o temo?).

Rufus Wainwright - Release The Stars


Release Date: May 15, 2007
Label: Geffen Records
ASIN: B000O78LH8

01 Do I Disappoint You
02 Going to a Town
03 Tiergarten
04 Nobody's Off the Hook
05 Between My Legs
06 Rules and Regulations
07 I'm Not Ready to Love
08 Slideshow
09 Tulsa
10 Leaving for Paris
11 Sanssouci
12 Release the Stars


Strabordare barocco di archi e pomposità orchestrale di fiati. Chi si aspettava (ed io ero fra questi) una svolta pop minimalista, almeno dopo l'ascolto del primo singolo 'Going To A Town', rimarrà fortemente deluso: le inflessioni verso l'Elton John style si limitano appunto unicamente a quella ballata romantica. Tutto il resto è puro stile Rufus Wainwright ed ascoltando le 12 tracce di questo suo quinto album, come peraltro sempre è capitato da 'Poses' in poi, può anche venirti il dubbio che gli arzigogoli negli arrangiamenti e la corposità della strumentazione, non siano altro che espedienti per mascherare una scarsa sostanza a livello di composizione. Però io, su RW, sono un pò di parte e il dubbio passa in me come una nuvola fugace nel cielo notturno di Luglio mentre le 12 stelle di questo firmamento musicale vanno ad incasellarsi in un'immaginaria costellazione. Come giudicare infatti di scarsa sostanza l'incedere spietato, ma allegro andante, da vera e propria overture operistica dell'iniziale 'Do I disappont you?' o la sinfonia vagamente wagneriana su cui si dipana la delicata ninna nanna di 'Nobody's Off The Hook', oppure la dichiarazione d'amore sotto forma di folk orchestrale su cui poggia la splendida 'Slideshow', a mio parere la più bella canzone mai scritta da Rufus (a pari merito con 'Go Or Go Ahead'), o ancora il blues da piume di struzzo della conclusiva title track? No davvero, qui davvero tutto abbonda, sostanza compresa. C'è infatti chi della scarnificazione sonora o del minimalismo espressivo fa la sua ragione nel produrre musica e chi invece come Rufus, incurante delle mode musicali del momento, si diletta nell'eccesso: strutturare, anzi sovrastrutturare (e con questa citazione di Karl Marx probabilmente ho ecceduto anch'io, temo). E' il suo marchio di fabbrica, è il suo pop da operetta, molto melò e poco drammatico, che fa passare tutto in secondo piano (la produzione di Neil Tennant e Marius De Vries, come le guest stars Joan As Policewoman, Richard Thompson o il recitato dell'attrice gallese Sian Philips): la vera stella è sempre e solo lui. Un album insomma, a mio parere complessivamente il suo migliore, per tutti i fans di Rufus Wainwright. Se invece suoi fans non lo siete questo disco non fa davvero per voi.

Intanto però salutiamo i cari GDM che escono dalla mia Top Ten 2007 ed accogliamolo come di deve (cioè al Nr. 1)

giovedì 19 aprile 2007

Marianne Faithfull: Live a Senigallia 26.03.07


Era il 1964 e c'era questa ragazza bellissima che al tramonto si sedeva a guardare i ragazzini giocare e sempre seduta vedeva le sue lacrime scendere perchè nonostante i successi e le ricchezze le rimaneva dentro un vuoto tanto inspiegabile quanto profondamente incolmabile. Sono trascorsi 43 anni e quella ragazza e' rimasta bellissima anche oggi, nonostante i segni di una vita eccessiva in tutto e per tutto, e se le chiedi il perchè del titolo dello show (peraltro parafrasato dal titolo di un libro di poesie di William Blake), lei ti risponde candidamente così: "..perchè non è vero che nella vita l'esperienza uccide l'innocenza, entrambe queste cose possono coesistere..". Forse è davvero proprio la chiave per penetrare dentro al fascino ammaliante di questa donna (che in un pezzo di 'Kissing Time' del 2002, su musica di Jarvis Cocker si descrive: "..I am a muse, not a mistress not a whore.."). E' quella sua componente di innocente fanciullezza che le ha permesso di (soprav)vivere alle esperienze di questi suoi ultimi 43 anni. 43 anni i cui Mrs Faithfull ha cantato John Lennon ed ha cantato Roger Waters, è passata per Richards/Jagger come per Weill/Brecht, ha cantato le inquietudini funeree di Tom Waits e quelle redente di Nick Cave, ma soprattutto sono stati 43 anni in cui la vita le ha fatto sperimentare ogni tipo di eccessi e di dipendenze, di cadute e di ressurrezioni, che l'ha vista vagabonda senzatetto sotto i London bridges come acclamata interprete teatrale e cinematografica (10 minuti di standing ovation all'ultima mostra di Berlino per la sua interpretazione in 'Irina Palm' di Sam Garbarski) e che da ultimo l'ha vista combattere contro il cancro. E' forse per questo che la sua voce rugosamente vissuta diventa ancora più emozionante quando canta di vite spezzate, ma mai invane, come nell'autobiografica 'Vagabond Ways', o come nell'inedito di Waters 'Without Blame' (sulla solitaria ed impavida regina Isabella di Castiglia). Ma in queste canzoni d'innocenza e d'esperienza non mancano altri veri e propri inni country/blues di stampo sociale 'Spike Driver Blues'(che racconta la storia di tale John Henry che all'inizio del '900 pagò con la propria vita la sua opposizione ad una grande compagnia di trasporti negli States) oltre ad altri suoi classici (l'iniziale 'Boulevard of Broken Dreams', l'assolutoria 'Guilt', la precedentemente dimenticata 'Marathon Kiss' di Daniel Lanois, la giungla urbana di 'Times Square' descritta dal suo alter-ego Barry Reynlods e la pacifista incazzata 'Broken English') e ad un paio di perle dal suo magnifico ultimo 'Before The Poison' ('No Child Of Mine' scritta da PJ Harvey e 'Crazy Love' su musica di Nick Cave). Quando poi sul finale partono, accompagnate dalla chitarra acustica, quelle parole: "It is the evening of the day, I sit and watch the children play, I sit and watch as tears go by.." allora ti sembra quasi di rivederla quella ragazza di 43 anni fa. E' ancora più bella di com'era allora e però è sopravvissuta alla sua personale, pericolosa ricerca di quel qualcosa che le riempisse il vuoto nell'anima tanto inspiegabile quanto profondamente incolmabile. L'esperienza non ne ha cancellato l'innocenza, le ha dato solo la forza per sopravvivere alla sua vita. E non è stata cosa da poco, così quando come bis propone 'Don't Forget Me' di Harry Nilsson sembra davvero la chiusura di un cerchio. L'addio a tutte le persone care da parte di un malato di cancro cantato da qualcuno che il cancro lo sta combattendo sa ancora di forza e di speranza, piuttosto che di ineluttabile rassegnatezza. Esperienza ed innocenza. Per l'appunto.
La setlist della serata:

Boulevards Of Broken Dreams
Say Goodbye
Guilt
Without Blame
Spike Driver Blues
No child Of Mine
Marathon Kiss
All The Best
Ruler Of My Heart
Times Square
Something Better
Crazy Love
Vagabond Ways
Broken English
What D'Ya Do It
As Tears Go By
Don't Forget Me

Da ascoltare:
Crazy Love (N. Cave/M. Faithfull) - Live in Senigallia
As Tears Go By (M. Jagger/K. Richards) - Live in Senigallia

martedì 17 aprile 2007

Occhi luccicanti (e consacrati!)

Sono ancora a mezzo servizio, ma di questo disco debbo parlarvi urgentemeeeeente!!!

Bright Eyes - Cassadaga

Original Release Date: April 10, 2007
Label: Saddle Creek
ASIN: B000N60HCW

1. Clairaudients (Kill or Be Killed)
2. Four Winds
3. If The Brakeman Turns My Way
4. Hot Knives
5. Make A Plan To Love Me
6. Soul Singer In A Session Band
7. Classic Cars
8. Middleman
9. Cleanse Song
10. No One Would Riot For Less
11. Coat Check Dream Song
12. I Must Belong Somewhere
13. Lime Tree

A poco più di 27 anni e alla quattordicesima uscita discografica (compresi EPs, compilation per la Saddle Creek e live records) finalmente Conor Oberst (in arte, ma non sempre, Bright Eyes) getta la maschera. E' sempre quell'efebico e bulimico (musicalmente) ragazzaccio di talento, però è diventato anche qualcos'altro: il nuovo classico del songwriting made in USA. Si, ho detto 'classico' e non più (solo) 'cult'. Non più contaminate folk ballads in chiaroscuro, quelle cioè che l'hanno consacrato in passato nella sua urgenza comunicativa, ma composizioni classiche (eppure originalissime) degne di un Dylan, di un Cohen o di un Springsteen. Organo Hammond, quartetto d'archi, basso, batteria, pianoforte e chitarre (prevalentemente acustiche) per 13 canzoni in cui si fa fatica a non citarle tutte come bellissime. Io ho faticato molto in questo senso e pertanto non ne citerò alcuna per non offendere le altre, cito però la voce del buon Conor sempre più timbricamente 'Watersiana' (in parte 'The Wall, ma soprattutto 'The Final Cut') come la sola fonte di leggera inquietudine che viene trasmessa dai pezzi di 'Cassadaga', laddove nelle sue opere precedenti era il songwriting stesso, oltre agli arrangiamenti acidognoli, a lasciarti una sensazione di soave ed incosciente follia. Eppure qui Oberst è lucido ed ispirato come non mai e i suoi testi visionari e sociali al tempo stesso vengono messi a disposizione di curatissimi e certosini arrangiamenti (laddove prima c'era solo lo-fi) con echi di immediatezza a tratti pop. Bright Eyes s'è venduto alle logiche commerciali? Io non credo affatto, credo invece abbia lasciato certi sperimentalismi e contaminazioni (alla Beck) o certi minimalismi espressivi (alla Devendra Banhart) alla sua ricerca passata di una strada in cui sviluppare la sua coerenza espressiva. Ora quella strada sembra averla imboccata, è meno buia di quella che percorre Will Oldham (aka Bonnie Prince Billy) però è pur sempre quella che ti porta ad essere il miglior autore di canzoni attualmente sulla piazza, perchè capace di mettere in quelle canzoni tutto lo spirito di una generazione intera, come Dylan e Springsteen (ma anche Cohen, Waits, Neil Young..) prima di loro. E vi paresse poco.
Quindi mi tocca aggiornare la top 10 del 2007:


1) Snow Abides - Michael Cashmore
2) Cassadaga - Bright Eyes
3) Neon Bible - Arcade Fire
4) The Magic Position - Patrick Wolf
5) Ghost - Radical Face
6) Like, Love, Lust & the Open Halls of the Soul - Jesse Sykes & The Sweet Hereafter
7) Armchair Apocrypha - Andrew Bird
8) Drums And Guns - Low
9) The Adventures Of Ghosthorse & Stillborn - Cocorosie
10) Dividing Opinions - Giardini Di Mirò


martedì 27 marzo 2007

bandiera bianca (momentanea)


Avrei voluto scrivere del grande concerto di Marianne Faithfull di domenica sera a Senigallia, ma mi trovo in condizione di grande difficoltà con le dita sopra la tastiera, anzi non fate caso all'ortografia e alla punteggiatura. Il problema è che non posso nemmeno più scrivere che: 'mi piego ma non mi spezzo', perchè stavolta mi sono pure spezzato, non bastassero i precedenti casini lavorativi, fiscali e finanziari mi mancava solo l'ottantenne che non vede ne me, ne la striscia bianca sull'asfalto, ne il cartello rosso con su scritto un cubitale 'STOP' (N.d.A: col risultato che devo rottamare la terza auto in 6 anni, sigh). Indi per cui, e non per la mia solita incostanza sottolineerei, mi vedo costretto ad interrompere le trasmissioni, almeno momentaneamente. Ah, dimenticavo la posa della foto non è rivolta ai lettori di questo blog, naturalmente. E' solo un gesto di stizza generico, che tra l'altro mi è costato una certa fatica ed un pò di dolore, ma è stato quanto meno liberatorio. A questo punto non so davvero che altro rovescio possa capitarmi in questo inizio di 2007, ma di questo passo ormai temo di tutto! See ya soon, my friends!

mercoledì 7 marzo 2007

Podcast Volume 1

Manco da un pò di giorni dal blog, ma in generale questo è un periodo che manco proprio dal mondo. Il fatto è che la sfiga mi si sta un pò troppo accanendo contro e una concentrazione di eventi nefasti in un colpo solo poi diventa pesante da sopportare, figurarsi da condividere pubblicamente. Peraltro ho sempre ammirato coloro che riescono ad esorcizzare gli eventi e gli imprevisti con pubblici sfoghi, credo sia quanto meno liberatorio, sicuramente lo è di più della mia abituale posizione a testuggine. Del resto, però, l'accartocciarmi su me stesso è l'unico sistema che ho sempre adottato per resistere a qualche intemperia di troppo ed in genere ha sempre funzionato. Ti lascia comunque qualche ferita, ma in fondo è solo una cicatrice in più da ammirare quando la quiete si sostituisce alla tempesta. A dire il vero c'è anche un altro rimedio che sovente funziona bene ed è quello della musica. La musica aiuta a metterti nella giusta prospettiva col mondo esterno. La musica, quando è grande musica e quando la ascolti non in modo passivo, ma con un atteggiamento aperto in senso di interscambio emozionale riesce ad interagire con l'anima e spesso riesce a dare, almeno quanto sottrae. Questa è la prima ora della mia collezione musicale del 2007, a cui ne seguiranno altre, almeno spero. L'ho miscelata e podcastata qui sotto, per coloro che si fossero persi qualcosa di discograficamente meritevole in questi primi due mesi dell'anno, sebbene a dirla tutta troverete anche due pezzi tratti da albums usciti a fine 2006 (damien rice, cyann & ben) di cui però ho parlato comunque sul blog. Perchè in fondo oggi è un mese esatto da quando esiste questo blog e bisogna pure festeggiare in qualche modo, no?


Per una settimana scaricabile QUI

Collezione 2007 - Volume 1

Durata: 67'06"

Tracklist:

The Lucky One AU REVOIR SIMONE
(from Au Revoir Simone, "The Bird Of Music" Album)
The Snow Abides MICHAEL CASHMORE ft. ANTONY
(from Michael Cashmore, "The Snow Abides" EP)
Cataracts ANDREW BIRD
(from Andrew Bird, "Armchair Apocrypha" Album)
Man In The Moon GRINDERMAN
(from Grinderman, "Grinderman" Album)
Intervention ARCADE FIRE
(from Arcade Fire, "Neon Bible" Album)
Eisenhower Moon JESSE SKYES & THE SWEET HEREAFTER
(from Jesse Skyes, "Like Love Lust And The Open Halls Of The Soul" Album)
Green Fields THE GOOD THE BAD & THE QUEEN
(from The Good The Bad & The Queen, "The Good The Bad & The Queen" Album)
Glory RADICAL FACE
(from Radical Face, "Ghost" Album)
The More We Possess The Less We Own Course BRETT ANDERSON
(from Brett Anderson, "Brett Anderson" Album)
Magpie PATRICK WOLF ft. MARIANNE FAITHFULL
(from Patrick Wolf, "The Magic Position" Album)
Diamond Heart MARISSA NADLER
(from Marissa Nadler, "Songs III: Bird On The Water" Album)
The Animals Were Gone DAMIEN RICE ft. LISA HANNIGAN
(from Damien Rice, "9" Album)
Sparks Of Love CYANN & BEN
(from Cyann & Ben, "Sweet Beliefs" Album)
Night BILL CALLAHAN
(from Bill Callahan, "Woke On A Whaleheart" Album)
Relief CHRIS GARNEU
(from Chris Garneu, "Music For Tourists" Album)
Garden Of Love AQUALUNG
(from Aqualung, "Memory Man" Album)

Buon ascolto!

giovedì 1 marzo 2007

Controprogrammazione - 3a serata (2)

Siori e siore, oggi ci vogliamo davvero rovinare e così dopo l'intensa ed intima performances live di Antony & The Johnsons ecco il cd-set (sono 3) Verve//Remixed. Trattasi di classicissimi jazz, ma anche blues e bossa-nova, ad opera dei più grandi interpreti mai esistiti, rivisitati in chiave moderna attraverso remixes di ogni genere e tipo. Praticamente un'opera che definire fusion è giust'appunto eufemistico! E per la serata di giovedì la copertura musicale straborderà oltre Pippo, ma anche oltre il Pierino. Nottata suadente e ritmata, insomma :-)

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VV.AA. - Verve//Remixed Vol. 1

Release Date: April 30, 2002
Label: Universal
ASIN: B00006316W


1. Spanish Grease (Dorfmeister Con Madrid De Los Austrias Muga Reserva Mix) - Willie Bobo
2. How Long Has This Been Going On? (MJ Cole Remix) - Carmen McRae
3. Who Needs Forever? (Thievery Corporation Remix) - Astrud Gilberto
4. Is You Is Or Is You Ain't My Baby (Rae & Christian Remix) - Dinah Washington
5. Feelin' Good (Joe Claussell Remix) - Nina Simone
6. Return To Paradise (Mark De Clive-Lowe (Remix) - Shirley Horn
7. Wait 'Till You See Him (De-Phazz Remix) - Ella Fitzgerald
8. Don't Explain (Dzihan & Kamien Remix) - Billie Holiday
9. See-Line Woman (Masters At Work Remix) - Nina Simone
10. Summertime (UFO Remix) - Sarah Vaughan
11. Strange Fruit (Tricky Remix) - Billie Holiday
12. Hare Krishna (King Britt Funke Mix) - Tony Scott
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VV.AA. - Verve//Remixed Vol. 2


Release Date: August 26, 2003
Label: Verve Labels
ASIN: B0000ACAO3


1. Manteca (Dizzy Gillespie) - The Funky Lowlives Remix
2. Sinnerman (Nina Simone) - Felix Da Housecat's Heavenly House Mix
3. Whatever Lola Wants (Sarah Vaughan) - Gotan Project Remix
4. Brother Where Are You? (Oscar Brown, Jr.) - Matthew Herbert Remix
5. Slap That Bass (Ella Fitzgerald) - Miguel Migs Petalpusher Remix
6. Blues For Brother George Jackson (Archie Shepp) - Mondo Grosso Next Wave Mix
7. Angel Eyes (Ella Fitzgerald) - Layo & Bushwacka Remix
8. Do What You Wanna (Ramsey Lewis) - Mr. Scruff's Soul Party Remix
9. Soul Sauce (Cal Tjader) - Fila Brazillia Remix
10. Fried Neckbones and Some Home Fries (Willie Bobo) - Dan The Automator Remix
11. Naima's Love Song (Betty Carter) - DJ Spinna Remix
12. Mama (Hugh Masekela) - Metro Area Birthday Dub
13. Here's That Rainy Day (Astrud Gilberto) - Koop Remix
14. Black Is The color Of My True Love's Hair (Nina Simone) - Jaffa Remix
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VV.AA. - Verve//Remixed Vol. 3

Release Date: April 5, 2005
Label: Verve Labels
ASIN: B0007PALF2


1. Little Girl Blue (Postal Service Remix) - Nina Simone
2. Speak Low (Bent Remix) - Billie Holiday
3. Sing, Sing, Sing (RSL Remix) - Anita O'day
4. Fever (Adam Freeland Remix) - Sarah Vaughan
5. Come Dance With Me (Sugardaddy Remix) - Shirley Horn
6. Just One Of Those Things (Brazilian Girls Remix) - Blossom Dearie
7. The Genle Rain (RJD2 Remix) - Astrud Gilberto
8. Peter Gunn (Max Sedgley Remix) - Sarah Vaughan
9. Stay Loose (Lyrics Born Remix) - Jimmy Smith
10. The Boy's Doin' It (Carl Craig Remix) - Hugh Masekela
11. Lilac Wine (The Album Leaf Remix) - Nina Simone
12. Yesterdays (Junior Boys Remix) - Billie Holiday
13. Baby, Did You Hear? (Danger Mouse Remix) - Dinah Washington
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Al solito nei commenti i links per il try before buy it.

Controprogrammazione - 3a serata (1)

Per la terza serata comincerei con un bootleg davvero pregevole e piuttosto recente (4 mesi fa) per un evento live d'eccezione e peccato si perdano le spettacolari immagini dell'evento.

Antony & The Johnsons + Charles Atlas - Turning

Live all'Auditorium Parco della Musica
Roma, Domenica 01.11.2006

1. Everything Is New (inedito)
2. Cripple And The Starfish
3. For Today I Am A Boy
4. Where Is My Power? (inedito)
5. Spiralling
6. Find The Rhythm Of Your Love
7. I Fell In Love With A Dead Boy
8. Bird Girl
9. Kiss My Name (inedito)
10. Daylight And The Sun (inedito)
11. One Dove (inedito)
12. Hope There's Someone
13. Twilight
14. You Are My Sister

In attesa dell'uscita del DVD dell'evento (registrato durante le 3 serate londinesi) questa è la documentazione audio di uno degli spettacoli più innovativi degli ultimi anni. Naturalmente col solo audio si perdono tutte le installazioni d'arte visuale di Charles Atlas, così come le suggestive immagini delle 13 modelle sulla pedana girevole e quindi bisogna 'accontentarsi' dei 5 inediti proposti da Antony & The Johnsons che dovrebbero formare l'ossatura del nuovo album previsto per l'inizio del prossimo anno. L'abituale religioso silenzio che accompagna le performances di Antony dall'attacco della prima nota fino alla conclusione dei pezzi fa si da rendere questa registrazione in presa diretta dalla platea davvero gradevole all'ascolto senza perdersi davvero nulla, nemmeno le sfumature musicali e vocali, nonostante l'acustica della sala Sinopoli dell'Auditorium davvero poco adatta ad ogni tipo di concerto. Il link per il dowanload, al solito, nei commenti.

mercoledì 28 febbraio 2007

Controprogrammazione - 2a Serata

Sono ancora in anticipo, ma temo di non fare in tempo a completare la controprogrammazione delle 5 serate! Ad ogni modo per la serata di Mercoledì 28 abbandonerei momentaneamente il mondo indie-rock e mi butterei su un paio di ascolti alternativi seppur pregni di suggestioni notturne e profondamente evocativi nei loro rispettivi generi d'appartenenza, che sono poi piuttosto indefinibili per in-definizione.

Cyann & Ben - Sweet Beliefs

Release Date: October 26, 2006
Label: Ever Records
ASIN: B000H0MGZK

1. Words
2. Sunny Morning
3. Sweet Beliefs
4. In Union With
5. Guilty
6. Recurring
7. Let It Play
8. Somewhere In The Light Of Time
9. Sparks Of Love

Vi siete mai trovati sotto un plumbeo cielo grigio in equilibrio precario su una scogliera mentre le onde si infrangono minacciose pochi centimetri sotto i vostri instabili piedini? Oppure siete mai rimasti sdraiati di notte in mezzo al mare ad attendere con gli occhi chiusi il fragore dell'onda che si abbatte minacciosa su una barca a motore spento? No? Beh allora non potete dire di aver vissuto veramente, ma fortunatamente esiste un'altra opzione che surroga tutto ciò: l'ascolto di questo disco, peraltro uno dei miei preferiti in assoluto fra quelli pubblicati lo scorso anno. Cyann & Ben, sono un quartetto francese che produce esperienze emotive più che albums. Potremmo arruolarli nella rediviva schiera post-rock, o tra quello sparuto gruppo di musicisti visionari che alimenta il genere dream-pop, oppure infine nel calderone polimorfo e residuale dell'experimental, ma sarebbe comunque una scelta incompleta: le esperienze emotive non si possono inscatolare dentro una definizione di genere. 'Sweet Beliefs' è un disco che riflette un viaggio interiore, meno glaciale di quelli prodotti dai Sigur Ròs, meno inquietante di una qualsiasi delle proposte dei Godspeed! You Black Emperor e meno fragoroso delle sperimentazioni rock degli Explosions In The Sky. Ma la somma di queste sottrazioni produce un risultato straordinariamente unico all'ascolto: nove tracce di perfezione in cui la voce dolcissima di Cyann scandisce ed unisce le multiformità sonore che si intersecano su tasti di pianoforte accarezzati dolcemente, rullanti di batterie lontane e linee di chitarre psichedeliche. E alla fine non ci si può davvero sorprendere che tutta la funerea malinconia che hai assorbito durante l'ascolto ti lasci solo un senso di gioia assoluto. In fondo e' un esperienza emotiva, non un semplice disco. Il link per il try before buy it (attivo per pochi giorni) è nei commenti.
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Current 93 - Soft Black Stars (Reissue)
Release Date: March 8, 2005
Label: Durtro / Jnana
ASIN: B00074CBBA

1. Judas as Black Moth
2. Larkspur and Lazarus
3. A Gothic Love Song (For N.)
4. Mockingbird
5. Soft Black Stars
6. It Is Time, Only Time
7. Anitchrist and Barcodes
8. Signs in the Stars
9. Whilst the Night Rejoices Profound and Still
10. Moonlight, Or Other Dreams, Or Other Fields
11. Judas as Black Moth II
12. Chewing on Shadows
13. Chewing on Shadows [Vinyl Version]
14. Chewing on Shadows [Unreleased Acoustic Version]

Uno dei miei dischi preferiti in assoluto, uscito il 1998 e poi rieditato nel 2005 con una nuova rimasterizzazione ed alcune bonus tracks. Non servirebbero molte parole per descriverlo e dovrebbe essere lasciato solo al paziente ascolto (e soprattutto ri-ascolto) per poterne apprezzare la complessità minimalista, ma ad ogni modo qualcuna ne spenderò comunque. Opera introspettiva, ostica, ermetica ed a tratti inquietante nel suo nichilismo sonoro fatto unicamente da pianoforte (quello scevro da ogni intento virtuosistico di Maya Elliott) e voce (quella aspra, stralunata e 'deforme' di David Tibet). Un'opera che all'apparenza (e al primo ascolto) potrebbe darti solo un senso di ossessiva ripetitività e vuotezza assoluta, ma che cela sotto la disarmente semplicità sonora, una complessità di sfumature che deve essere digerita ancor più che capita. Un disco che ruba molto più di quello che dona, una sorta di labirinto immerso nella nebbia che deve essere dipanata, ascolto dopo ascolto, per riuscire a trovarvi la strada rivelatrice. Le melodie che muoiono e rinascono in continui rimandi e la fragilità delle parole di Tibet a declamare le rimembranze e i ricordi di una vita passata e spesso rinnegata, la stretta dolorosa del pentimento e dei rimorsi, la ricerca del perdono, il desiderio di redenzione, la speranza di una rinascita. Occorre seguire il suo lento poetare sopra la monocorde melodia da lieder pianistico, coglierne le sfumature, l'intonazione, il modo in cui viene pronunciata una parola: questa è la faticosa strada rivelatrice. Tanto faticosa quanto appagante una volta imboccata. 'Soft Black Stars' è davvero uno dei rari casi in cui parlare di 'Arte' riferendosi alla musica non ti fa pensare a qualche esagerazione terminologica. Tanti, infine sarebbero gli episodi da citare: dalla apocalittica 'Larkspur & Lazarus' alla sublime 'A Gothic Love Song', passando per la delicata 'Whilst The Night Rejoices Profound And Still' e per la malincolica title track (che in seguito Antony & The Johnsons addolciranno ancor di più con massicce dosi di archi nella loro bellissima cover). Il link per il try before buy it (attivo per pochi giorni) è nei commenti.

martedì 27 febbraio 2007

Controprogrammazione - 1ma serata

Intanto mi avvantaggio che la prossima settimana sarà densa di lavoro e quindi scarsa di tempo da dedicare altrove. Per la serata di martedì 27 febbraio propongo l'ascolto di due albums piuttosto attuali (uno di prossima uscita) ed anche piuttosto diversi l'uno dall'altro. _______________________________

Radical Face - Ghost


Release Date: March 20, 2007
Label: Morr Music / M.M.
ASIN: B000MEYG8G

1. Asleep on a Train
2. Welcome Home
3. Let the River In
4. Glory
5. Strangest Things
6. Wrapped in Piano Strings
7. Along the Road
8. Haunted
9. Winter Is Coming
10. Sleepwalking
11. Homesick

Cosa succederebbe se le cose avessero una loro memoria? Se riuscissero ad immagazzinare le emozioni e le storie delle persone che le toccano, le condividono e le vivono? Beh sarebbero quindi pregne di tutti i nostri fantasmi presenti, passati e futuri. Questo è il senso di 'Ghost' il disco di prossima uscita del ventiquattrenne Ben Cooper (che qui si firma come Radical Face, dopo aver debuttato con il nome Electric President). Un disco complesso nella sua semplicità produttiva tipicamente home-made che unisce al classico cantautorato lo-fi del genere (Micah P. Hinson, Bright Eyes, Jens Lekman) un'inflessione indie-rock davvero accattivante. Non aspettatevi però schitarrate potenti perchè qui troverete solo pianoforte, archi, accordion, batteria e gentle guitars. Il risultato è un delicato, ma intenso al tempo stesso, chamber pop tratteggiato con maestria da melodie cariche di suggestioni malinconiche, ma con arrangiamenti e ritmiche davvero in stile alt rock. Il link per il try before buy it (attivo per pochi giorni) è nei commenti.
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The Postmarks - The Postmarks


Release Date: February 6, 2007
Label: Unfiltered
ASIN: B000LP5FTU

1. Goodbye
2. Looks Like Rain
3. Summers Never Seem To Last
4. Winter Spring Summer Fall
5. Watercolors
6. Know Which Way The Wind Blows
7. Weather The Weather
8. Leaves
9. Let Go
10. You Drift Away
11. The End Of The Story

Ritmi patinati per un disco davvero raffinato nel suo proposito di unire jazz, bossa nova e pop. Certo, l'intento di produrre questo genere di fusion non è propriamente una novità originalissima nel panorama musicale, ma questo giovanissimo trio ha tutte le carte in regola per diventare un punto di riferimento nel suo genere a cominciare dalla voce della cantante Tim Yehezkely che ricorda vagamente per timbrica quella delle chanteuse d'oltralpe anni '60. Gli arrangiamenti curatissimi, dai vibrafoni agli archi, contribuiscono poi a togliere luminosità alle canzoni e a trasformarle in vere e proprie ballate notturne che ricordano quei momenti in cui il party è finito, gli ospiti se ne sono andati e si rimane sospesi nel cuore della notte tra la soddisfazione ed il rimpianto. Ritmi che ti cullano e ti accompagnano con profonda calma alla riscoperta della bellezza del mondo. Il link per il try before buy it (attivo per pochi giorni) è nei commenti.

giovedì 22 febbraio 2007

Sta arrivando..

Non bastasse la caduta del Governo e il contraddittorio con l'Agenzia delle Entrate (che mi chiede qualcosa come 5.000 euri di tasse pregresse per redditi mai percepiti) ecco preannunciarsi all'orizzonte, come nuvole minacciose, le cinque serate sanremesi. Non preoccupatevi però. Almost Blue In Reverse è solidale con tutti gli amanti della buona musica e pertanto a partire dal 27 prossimo venturo e fino al 3 Marzo (cioè in concomitanza con le 5 serate festivaliere) vi proporrà la controprogrammazione musicale con il download quotidiano di 2 ore circa di musica da ascoltarsi con gli auricolari e a TV spenta. Due album al giorno, insomma, che rimarranno scaricabili per poco tempo con la formula del try and buy it per coprire interamente la prima serata televisiva e risparmiarvi così carri carichi di chicchi della famiglia del carnaroli (carrisi), armate di piccoli operatori del settore traslochi e consegne (facchinetti) e tutto il restante della banda. Un album sarà selezionato fra le novità discografiche (appena uscito o in procinto di uscire sul mercato) e l'altro invece sarà una sorta di recupero per i meno attenti. E così anche quest'anno riusciremo a sopravvivere alle pippate sanremesi! :-)