Si sono un pò in anticipo, lo so, ma siccome una playlist non può avere la durata di una compilation e nonostante questo Febbraio sia bisesto, dunque più lungo di 24 ore rispetto al solito, io lo faccio terminare oggi! Magari entro il 29 ne inserirò un'altra, che ad esempio sto già ascoltando i nuovi straordinari album dei Devotchka, dei Gutter Twins (che poi sarebbero Greg Dulli e Mark Lanegan) e dei Tindersticks. Per ora, però, buon ascolto!
Birdantony's playlist II (Febbraio 2008) - Durata 23'36"
1 - Truth Is Dark Like Outer Space - Evangelista (da 'Hello, Voyager'): Ogni anno la Constellation Records sforna almeno un disco da tramandare ai posteri, così è stato nel 2007 con 'North star Deserter' di Vic Chesnutt e prima ancora con 'Evangelista' di Carla Bozulich. E mi fermo qui visto che non a caso dietro al moniker Evangelista dell'album in questione si cela proprio la Bozulich con un'incredibile schiera di guest stars, dunque se avete amato il suo 'Evangelista' del 2006 amerete anche questi Evangelista e il loro 'Hello, Voyager', altrimenti la vedo dura anzichenò. Non omologabile in nessun genere musicale, non classificabile con nessun parametro di giudizio estetico, l'album è un immersione nell'anima tetra, riottosa e funerea di questa singolare cantautrice. 'Truth is dark like outer space', il pezzo in questione è forse quello che rispetta maggiormente i canoni di una canzone di musica leggera: voce roca e melodia incazzosa per organo su cui si dipana un ginepraio di distorsioni chitarristiche. Destabilizzatrice.
2 - Antropophagus - Baustelle (da 'Amen'): Corso Como (Milano Stazione Centrale), barboni e immigrati clandestini a contendersi gli avanzi della nostra civiltà globalizzata e mercificata. Uno spaccato surreale, cinico e tendente al macabro che comincia con un riff decisamente gallagheriano (dei tempi di 'Definitively Maybe'), per poi virare con forza verso pietanze alla Franco Battiato con un abbondante spruzzata di Bluvertigo nell'inciso, tanto per restare in ambito di antropofagia culinaria. Nulla di innovativo, insomma. Eppure in questo pezzo, come in quasi tutto 'Amen', si respira un'aria che da tanto tempo non mi capitava ascoltando un prodotto discografico made in Italy. Non saranno originalissimi, non saranno simpatici, non saranno i Radiohead però con questo disco fanno centro. Fanno centro al di là degli evidenti difetti, dei passaggi a vuoto, dell'inevitabile citazionismo, delle contraddizioni morali di cui cantano. O forse fanno centro proprio per tutto questo. Perchè di tutto questo è pregna la realtà che 'Amen' si prefigge di raccontare: la nostra società e le sue contraddizioni. Liturgici.
3 - Blind - Hercules And Love Affair (da 'Hercules And Love Affair'): Non sono mai stato un grande fan della dance music, neppure quando è prodotta in modo esemplare o contiene delle idee anche interessanti come quella di questo collettivo newyorkese capitanato da Andrew Butler. Eppure se vi capitasse di passare ad Ancona e magari di salire sull'autobus linea 46 delle 8 e dieci vi potreste imbattere in un idiota che si dimena con la ventiquattrore in mano e le cuffiette dell'ipod nelle orecchie. Non fateci caso però ed evitate gli sghignazzi. Il problema è che mi sono fatto un pò troppo prendere dal revival anni '80 degli Hercules And Love Affair e si che ai tempi non ero altro che un mocciosetto foruncoloso strafatto di seghe mentali. Ma come non battere a tempo il piede o lasciarsi un pò trascinare dalla ritmica retrò di questo disco? In 'Blind' poi la voce di Antony evoca insieme le calde profondità di Alison Moyet e gli svolazzi frù frù di Jimmy Sommerville e suppongo che il Vince Clark post Depeche Mode avrebbe sbavato per avere con un unica voce il meglio delle sue migliori creature (Yazoo e Communards). Accecante.
4 - Saro - Sam Amidon (da 'All Is Well'): Invece per rallentare un pochino i bpm mi affido a Sam Amidon, un cantautore che per esuberanza anagrafica e produttiva potremmo accostare benissimo a conor Oberst (Bright Eyes), ma che musicalmente parlando si avvicina molto pedissequamente a Will Oldham (Bonnie 'Prince' Billy). Il suo ultimo 'All Is Well' non è propriamente un album di cover, ma contiene una serie di classici tradizionali del folk a stelle e strisce rivisitati in chiave personalissima. La produzione è affidata all'islandese Valgeir Siggurdsson (già al lavoro con Bjork, Sigur Ros e per l'appunto Bonnie 'Prince' Billy) e agli innesti orchestrali e soft elettronici del compositore olandese Nico Mulhy (già al lavoro con Antony in un paio di suoi progetti solisti) che aiutano nel dare un tocco di moderno cosmopolitismo e di astrattismo concettuale a canzoni originariamente ben ancorate nel loro spazio e tempo. 'Saro' è una ballad delicata ed evocativa raccontata in prima persona da un immigrato, la sua meraviglia iniziale per un paese che lo accoglie e le difficoltà successive dell'integrazione. Poco importa che si trattasse del lontano 1849, certe cose, purtroppo, non cambiano mai. Riflessivo.
5 - Dig, Lazarus Dig!!! - Nick Cave & The Bad Seeds (da 'Dig, Lazarus, Dig!!!'): Ogni nuovo album album del King of Goth è sempre un evento degno di nota, anche quando ti lascia un pochino perplesso come questo 'Dig, Lazarus Dig!!!'. Un album molto Grinderman e poco Murder Ballads, se vogliamo, in cui il pianoforte è rimasto in soffitta ed in cui a farla da padrone sono i testi visionari, cupi e dannati seppure, al solito, con una marcata tendenza alla redenzione. Musicalmente si segnala un certo ritorno al rock sincopato dei suoi anni '80, ma non mancano comunque alcune divagazioni country blues proprie della sua ultima produzione. Nella title track, ad esempio, sarebbe difficile non cogliere alcuni richiami musicali allo Joe Strummer degli ultimi Clash, richiami in cui si muove questa sorta di Lazzaro al contrario, che non si alza, bensì scava, scava sotto New York alla ricerca di catene da spezzare, le catene con cui la società moderna improgiona la spiritualità dell'essere umano. Biblico.
6 - Where Is My Mind - Yoav (da 'Charmed & Strange'): Per l'angolo della cover invece, concluderei con Yoav. Musicista eclettico e poliglotta, nato in Israele, cresciuto in Sud Africa e ora stabilizzatosi nel Regno Unito. Lo potremmo inserire in questo nuovo filone di pop minimalista che vede in Fink l'interprete probabilmente più talentuoso. Anche il suo 'Charmed & Strange' (come 'Distance & Time' di Fink) infatti è strutturato e composto da pezzi squisitamente pop (con sottili venature a volte blues altre soul) approcciati rigorosamente ed unicamente attraverso voce e chitarra acustica e sulle quali, però, si appoggia un'elettronica minimalista a mò di ombra in controluce. La sua versione di questo classico dei Pixies rende perfettamente l'idea di cosa aspettarsi da questo album decisamente accattivante. Una versione, peraltro, se non al livello dell'originale, quanto meno decisamente superiore ad alcune che mi è capitato di ascoltare negli ultimi anni (penso a quelle dei Placebo e dei Nada Surf) se non altro perchè non la scimmiotta, ma la rallenta, eliminandone la ritmica e astraendola dalle logiche del punk rock. Rarefatto.
2 - Antropophagus - Baustelle (da 'Amen'): Corso Como (Milano Stazione Centrale), barboni e immigrati clandestini a contendersi gli avanzi della nostra civiltà globalizzata e mercificata. Uno spaccato surreale, cinico e tendente al macabro che comincia con un riff decisamente gallagheriano (dei tempi di 'Definitively Maybe'), per poi virare con forza verso pietanze alla Franco Battiato con un abbondante spruzzata di Bluvertigo nell'inciso, tanto per restare in ambito di antropofagia culinaria. Nulla di innovativo, insomma. Eppure in questo pezzo, come in quasi tutto 'Amen', si respira un'aria che da tanto tempo non mi capitava ascoltando un prodotto discografico made in Italy. Non saranno originalissimi, non saranno simpatici, non saranno i Radiohead però con questo disco fanno centro. Fanno centro al di là degli evidenti difetti, dei passaggi a vuoto, dell'inevitabile citazionismo, delle contraddizioni morali di cui cantano. O forse fanno centro proprio per tutto questo. Perchè di tutto questo è pregna la realtà che 'Amen' si prefigge di raccontare: la nostra società e le sue contraddizioni. Liturgici.
3 - Blind - Hercules And Love Affair (da 'Hercules And Love Affair'): Non sono mai stato un grande fan della dance music, neppure quando è prodotta in modo esemplare o contiene delle idee anche interessanti come quella di questo collettivo newyorkese capitanato da Andrew Butler. Eppure se vi capitasse di passare ad Ancona e magari di salire sull'autobus linea 46 delle 8 e dieci vi potreste imbattere in un idiota che si dimena con la ventiquattrore in mano e le cuffiette dell'ipod nelle orecchie. Non fateci caso però ed evitate gli sghignazzi. Il problema è che mi sono fatto un pò troppo prendere dal revival anni '80 degli Hercules And Love Affair e si che ai tempi non ero altro che un mocciosetto foruncoloso strafatto di seghe mentali. Ma come non battere a tempo il piede o lasciarsi un pò trascinare dalla ritmica retrò di questo disco? In 'Blind' poi la voce di Antony evoca insieme le calde profondità di Alison Moyet e gli svolazzi frù frù di Jimmy Sommerville e suppongo che il Vince Clark post Depeche Mode avrebbe sbavato per avere con un unica voce il meglio delle sue migliori creature (Yazoo e Communards). Accecante.
4 - Saro - Sam Amidon (da 'All Is Well'): Invece per rallentare un pochino i bpm mi affido a Sam Amidon, un cantautore che per esuberanza anagrafica e produttiva potremmo accostare benissimo a conor Oberst (Bright Eyes), ma che musicalmente parlando si avvicina molto pedissequamente a Will Oldham (Bonnie 'Prince' Billy). Il suo ultimo 'All Is Well' non è propriamente un album di cover, ma contiene una serie di classici tradizionali del folk a stelle e strisce rivisitati in chiave personalissima. La produzione è affidata all'islandese Valgeir Siggurdsson (già al lavoro con Bjork, Sigur Ros e per l'appunto Bonnie 'Prince' Billy) e agli innesti orchestrali e soft elettronici del compositore olandese Nico Mulhy (già al lavoro con Antony in un paio di suoi progetti solisti) che aiutano nel dare un tocco di moderno cosmopolitismo e di astrattismo concettuale a canzoni originariamente ben ancorate nel loro spazio e tempo. 'Saro' è una ballad delicata ed evocativa raccontata in prima persona da un immigrato, la sua meraviglia iniziale per un paese che lo accoglie e le difficoltà successive dell'integrazione. Poco importa che si trattasse del lontano 1849, certe cose, purtroppo, non cambiano mai. Riflessivo.
5 - Dig, Lazarus Dig!!! - Nick Cave & The Bad Seeds (da 'Dig, Lazarus, Dig!!!'): Ogni nuovo album album del King of Goth è sempre un evento degno di nota, anche quando ti lascia un pochino perplesso come questo 'Dig, Lazarus Dig!!!'. Un album molto Grinderman e poco Murder Ballads, se vogliamo, in cui il pianoforte è rimasto in soffitta ed in cui a farla da padrone sono i testi visionari, cupi e dannati seppure, al solito, con una marcata tendenza alla redenzione. Musicalmente si segnala un certo ritorno al rock sincopato dei suoi anni '80, ma non mancano comunque alcune divagazioni country blues proprie della sua ultima produzione. Nella title track, ad esempio, sarebbe difficile non cogliere alcuni richiami musicali allo Joe Strummer degli ultimi Clash, richiami in cui si muove questa sorta di Lazzaro al contrario, che non si alza, bensì scava, scava sotto New York alla ricerca di catene da spezzare, le catene con cui la società moderna improgiona la spiritualità dell'essere umano. Biblico.
6 - Where Is My Mind - Yoav (da 'Charmed & Strange'): Per l'angolo della cover invece, concluderei con Yoav. Musicista eclettico e poliglotta, nato in Israele, cresciuto in Sud Africa e ora stabilizzatosi nel Regno Unito. Lo potremmo inserire in questo nuovo filone di pop minimalista che vede in Fink l'interprete probabilmente più talentuoso. Anche il suo 'Charmed & Strange' (come 'Distance & Time' di Fink) infatti è strutturato e composto da pezzi squisitamente pop (con sottili venature a volte blues altre soul) approcciati rigorosamente ed unicamente attraverso voce e chitarra acustica e sulle quali, però, si appoggia un'elettronica minimalista a mò di ombra in controluce. La sua versione di questo classico dei Pixies rende perfettamente l'idea di cosa aspettarsi da questo album decisamente accattivante. Una versione, peraltro, se non al livello dell'originale, quanto meno decisamente superiore ad alcune che mi è capitato di ascoltare negli ultimi anni (penso a quelle dei Placebo e dei Nada Surf) se non altro perchè non la scimmiotta, ma la rallenta, eliminandone la ritmica e astraendola dalle logiche del punk rock. Rarefatto.
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