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Della serie: 'quando uno è esagerato..'. A 19 anni Zach Condon, un tipetto abbastanza sfigato che fa la spola fra Arizona e Texas, diventa il caso discografico dell'anno esordendo con 'Gulag Orkestar', disco straordinariamente pregno di atmosfere balcaniche e malinconie gitane. L'anno seguente il ragazzo aggiusta iltiro e con 'The Flying Club Cup' apre la sua creatività alla tradizione cantautorale europea (soprattutto francese) pur non disdegnando le abituali fanfare mitteleuropee, gli organetti circensi e una buona dose di violini tzigani per non farsi comunque mancare nulla. Ormai 'grande' (beh 21 anni..) giunge alla Prova con la 'P' maiuscola (quella del terzo disco) e riesce a spiazzare tutti un'ulteriore volta. Innanzi tutto perchè di 'disco' non possiamo neppure parlare, visto che si tratta in realtà di due EP ben eterogenicamente distinti seppure uniti da un'unica copertina, ma soprattutto perchè invece di proseguire sul sentiero artistico intrapreso il buon Condon fa un'inversione ad 'U': separa anzichè continuare ad amalgamare le sue due anime. Le separa e le porta all'eccesso. Allora ecco che nella prima parte (quella a nome 'Beirut' dal titolo 'March Of the Zapotec') estremizza le radici etno-folk delle sue composizioni utilizzando addirittura un'orchestrina di 19 elementi, andata a pescare in uno sperduto paesino messicano. Condon si trova naturalmente a suo agio nel dirigere questa vera e propria funeral marching band e pezzi come 'La Llorona', 'My Wife' o 'The Shrew' entrano di diritto e abbastanza immediatamente nel pantheon delle perle immaginifiche beirutiane. Però da esagerato com'è subito dopo ti fa accomodare nella seconda parte del disco (qualla non a caso a nome 'Realpeople' e non più 'Beirut') e la sorpresa è piuttosto grande, se non completamente spiazzante. L'anima da chansonnier trionfa incontrastata, con i testi più belli che abbia mai scritto, gioielli però incastonati su una sorpendente montatura elettronica. Beirut elettronico? Ebbene si. Naturalmente però, da tipo esageratamente fuori dal tempo e dalle mode quale è, poteva forse scegliere un rivestimento elettro-funk alla TV On The Radio o qualcosa di più psych alla MGMT o alla Animal Collective? Ma certo che no! Ci ritroviamo invece nel territorio bedroom-electro di Tellier, dei Daft Punk e dei primi Air (quelli più giocosi) col loro tappeto soft-elettronico lo-fi da vecchi videogames ad avviluppare, per contrasto, la profonda malinconia della sua voce. Una roba davvero esagerata insomma. Una roba che amplificherà senza dubbio alcuno le stroncature generali della critica di ogni latitudine, ma che invece a me fa decidere per un voto esageratamente alto.
3 commenti:
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