venerdì 18 maggio 2007

I salvatori di anime

Dopo la lettura di una serie impressionante di critche piuttosto negative, mi sono deciso: questo era un disco che andava quanto meno ascoltato. E confesso che è bastato davvero poco a porlo tra i miei assolutamente preferiti dell'anno, fatto di cui peraltro non dubitavo affatto viste le premesse. Davvero un disco entusiasmante.

Soulsavers - It's Not How Far You Fall, It's The Way You Land


Original Release Date: April 2, 2007
Label: V2 Int'l
ASIN: B000LC4Y3Q

1. Revival
2. Ghosts Of You And Me
3. Paper Money
4. Ask The Dust
5. Spiritual
6. Kingdoms Of Rain
7. Through My Sails
8. Arizona Bay
9. Jesus Of Nothing
10. No Expectations

E come non entusiasmarsi, infatti, di fronte alla sua apertura con la voce polverosa, da crooner a sonagli, di Mark Lanegan a guidare un improbabile coro gospel sopra un'atrettanto improbabile base trip-hop downtempo? Beh, detta così sembrerebbe effettivamente una stranezza, e peraltro non sarà l'unica proseguendo con l'ascolto, ma saranno tutte caratterizzate da un pathos e da un'intensità che lasceranno il segno. E 'stranezza' potremmo definire l'intera gestazione di questo disco. I Soulsavers sono infatti due DJ inglesi già noti per precedenti escursioni musicali in perfetto Bristol sound, probabilmente giunte fuori tempo massimo laddove addirittura i capi tribù del genere (Tricky, Portishead e Massive Attack) sembrerebbero aver detto tutto il dicibile e suonato tutto il suonabile. Questo però fino a che Rich Machin e Ian Glover (i Soulsavers, per l'appunto) non decidono di dar carta bianca ad un "tale" Mark Lanegan: sopra le sue inconfondibili voce e fender statocaster eccoli sviluppare atmosfere, partendo dagli abituali spunti blues laneganiani, che vanno ben oltre i dettami del trip-hop, fino a spingersi nel post-rock e nell'ambient, per una scaletta che ripartisce equamente questo album straordinario, fra originali, strumentali e covers. Grandiosa, ad esempio, l'intensità emotiva di Lanegan nella conclusiva 'No Expectations' (cover degli Stones) nella quale a tratti affiorano deja-vu del lamento nichilista di Antony & The Johnsons, sublime la rivisitazione down-tempo della vecchia 'Kingdoms Of Rain' (tra le mie preferite del vasto repertorio laneghiano), tremebonda (in senso buono) la preghiera ambient 'Spiritual', fino ad arrivare ad un sogno che si avvera. Vabbè, magari avrei desiderato mi si avverasse un sogno un pochettino più consistente, però avevo sempre desiderato poter ascoltare le voci così disomogeneamente caratteristiche di Mark Lanegan e Will Oldham (cioè Bonnie Prince Billy) cimentarsi sullo setsso pezzo, peraltro le mie due preferite, se parliamo di voci maschili e se non facciamo rientrare quella di Antony nella categoria. Ed eccole in 'Through My Sails', vecchio classico di Neil Young, meravigliosamente intrecciate: la ruvida concretezza e il delirante delicato insieme. Beh, poi si può davvero volare accompagnati dalla grandezza di una canzone: e al diavolo la critica colta. La mia forse non ne aveva bisogno in questi termini, ma è anch'essa un'anima in un certo senso appagata da questo viaggio sonoro che quando giunge al termine non sa affatto più di stranezza. Alla sua salvezza penseremo poi.

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