martedì 6 febbraio 2007

La prova del 9

Si lo so, questo disco non è più una novità, ma quando è uscito nel novembre scorso questo blog non esisteva e poi, diciamocela tutta, l'inverno metereologico ha fatto capolino solo da pochi giorni e questo è un disco da ascoltare e conseguentemente da recensire quando fuori fa freddo, veramente freddo.


9 - Damien Rice

Original Release Date: November 14, 2006
Label: Heffa/Vector/Warner Bros.
ASIN: B000IU3XTM

1. 9 Crimes
2. The Animals Were Gone
3. Elephant
4. Rootless Tree
5. Dogs
6. Coconut Skins
7. Me, My Yoke, and I
8. Grey Room
9. Accidental Babies
10. Sleep Don't Weep

Ci sono modi e modi per chiudersi fra le pareti insonorizzate della propria anima e guardare al passato. C'è chi lo fa con il frigido disprezzo che solo la consapevolezza di un presente migliore può donare e chi lo fa attanagliandosi dietro rimorsi e rimpianti che s'inseguono come eterni fantasmi nella giostra dei ricordi. E poi ci sono quelli che, come per magia, riescono a far coesistere incastrandole in un mosaico intimistico entrambe queste prospettive: a Damien Rice basta solo una chitarra acustica o un pianoforte per darti una mano di carta vetrata cosparsa di miele a levigare gli spigoli sedimentati dal tempo che sono sorti innaturali sulla superficie del tuo cuore. Ascoltare il suo '9' è come prendere una medicina amara, ma quantomai benefica. E' una sorta di purificazione per mezzo di un viaggio catartico che sovrasta il caos frenetico della quotidianità, che scatta istantanee di amori giunti al termine, che si interroga sui motivi della propria esistenza e che urla la rabbia ingiustificata della libertà per poi placarsi nell’eterno dialogo della propria anima con sé stessa. Un viaggio da fare nella propria nudità, accompagnati solo dall'ostico, intimo e sincero minimalismo di questo schivo e caparbio cantautore irlandese con la sua voce sofferta e con la sua poetica schietta e poco edulcorata. '9' è un disco cupo, a tratti disperato e laddove il precedente 'O' era mitigato da una sorta di suadente malinconia, anche grazie alla massiccia presenza vocale dell'inseparabile Lisa Hannigan, ora non c'è quasi più nulla a limitare gli eccessi di oscura rabbia che emergono da sotto la placida superficie come il '..fuck you, fuck you, fuck you/and all that you do..' nell'inciso di 'Rootless Tree' o come l'esplosione elettrica veementemente rock del finale di 'Me, My Yoke And I' a fare da contraltare alla sue caratteristiche delicate folk-ballads ('The Animals Were Gone, 'Elephant', 'Grey Room' e l'introduttiva '9 Crimes') che pure sono imprescindibili per la compattezza emotiva del disco. Disco ostico, per l'appunto. Ostico e ruvido proprio per la sua complessa semplicità e per quell'esercizio di scarnificazione del relativo in funzione di una più corposa descrizione dell'assoluta necessità di trovare un equilibrio interiore. Quell'equilibrio che non può prescindere dal guardarsi alle spalle sospesi fra luce ed ombra, fra consapevolezza e rimpianti, fra speranza e disperazione e comunque fortificati proprio dalle nostre rispettive fragilità. Prescindendo dall'ermetico titolo di questo disco, che sia davvero questa la prova del 9 per tutti noi esseri umani, creature malate di croniche infermità esistenziali? Chissà, per ora mi basta spegnere la luce, sdraiarmi sul letto e mettere Damien Rice sullo stereo. Stanotte mi trastullo con i fantasmi del mio passato, ma domani il sorgere del sole porterà, come ogni nuovo giorno, le avanguardie solide del mio futuro. 'Notte.

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