lunedì 12 febbraio 2007

lo strano frutto: la canzone del secolo (scorso)

Ci sono rarissime canzoni che meritano un'attenzione particolare per via di come sono nate e poi di come si sono inserite e propagate nel mondo musicale partendo dal sottobosco per poi rifulgere incontrastate tra i cieli più alti (da 'Hallelujah' ad 'As Tears Go By'), ma probabilmente nessuna ha una storia così pregna di significati sociali come 'Strange Fruit' di Billie Holiday. Forse basterebbe solo il testo (tradotto per chi non è proprio praticissimo con l'inglese) per capire i motivi, anche sociali, che hanno reso questa canzone immortale:

"Sugli alberi del sud penzola uno strano frutto
sangue tra le foglie, sangue fino sulle radici
corpi neri ciondolano nel vento
strana frutta penzola dagli alberi di pioppo.

Scena pastorale dell'orgoglioso sud
di occhi che si gonfiano e bocche che si deformano
profumo di magnolie, dolce e fresco
e poi d'improvviso arriva quello della carne bruciata.

Ecco la frutta per i corvi da straziare,
per la pioggia da inzuppare e per il vento da rinsecchire,
per il sole da marcire e per l'albero da lasciar cadere:
ecco un raccolto amaro e strano".

Nel 1939 Billie Holyday è solita esibirsi sulla Sheridan Street del Greenwich Village in Manhattan al Cafè Society, uno dei pochissimi night-club che al tempo permetteva anche alla gente di colore di entrare dalla porta principale. Ha 24 anni ed è già incompresa dai più, sebbene già voce culto (Sinatra dichiarava la sua ispirazione al timbro della sua vocalità) e così rimarrà fino alla sua morte nel '59 prima della rivalutazione totale, ancorchè postuma. Cosa che purtroppo accade troppo spesso, per non dire quasi sempre, con i grandi artisti. Ha una voce rotta, spezzata, fortemente evocativa, fiera e dolente. In questo senso è un pò come la madre del nuovo modus di interpretare gli standards jazz, poi portato con pieno compimento a termine da Nina Simone, ma questa sarebbe ed è un'altra storia. Perchè nel 1939 Billie Holyday è anche la donna giusta per un certo tipo di testi, lei che ha subito violenza da bambina, lei che proviene dal profondo sud razzista. Ed è anche l'artista giusta per esibirsi al Cafè Society, il quale fin dai tempi del proibizionismo è una vera e propria isola liberal in un panorama angoscioso ed angosciante oscurato dalle nubi dell'odio e delle guerre. Ed è proprio al Cafè Society, fra tutti i locali di New York, in cui ci si poteva imbattere in Eleanor Roosevelt o in Kurt Weill oltrechè in molti simpatizzanti socialisti egualitari altrove indesiderati o indesiderabili. Perchè erano i tempi in cui il senatore McCarthy e l'FBI di J. Edgar Hoover avevano dato il via alla caccia alle streghe contro i simpatizzanti 'comunisti', dimenticandosi più o meno inconsciamente dei Gambino a New York, di Raymond Patriarca a Boston, di Santos Trafficante Jr. a Miami e di Sam Giancana, detto 'Mo' a Chicago. Ma anche questa sarebbe ed è un'altra storia. Perchè, tornando al Cafè Society, tra i reietti e i perseguitati che lo frequentano c'è anche Abel Meeropol, un innocuo professore di lettere di origine ebraica e di simpatie comuniste che si diletta anche a scrivere poesie che poi è obbligato a firmare con lo pseudonimo di Lewis Allen per non cadere nella allucinante censura federale, dovuta non ai contenuti, quanto più semplicemente ai dossier sulle sue simpatie politiche. Meeropol, sui tavoli del Cafè Society, scrive questa poesia drammatica e agghiacciante sugli omicidi ai danni dei neri negli stati del Sud, ispirata dalla foto dei corpi senza vita di A. Smith e T. Shipp, vittime di un linciaggio nell’Indiana del 1930, appesi ad un albero e boi bruciati vivi. Strano frutto, per l'appunto. La Holiday dapprima è reticente e bisogna considerare che parliamo del 1939, anno in cui le battaglie per i diritti civili capitanate da Martin Luther King e da Malcom X non si intravvedono nemmeno all'orizzonte, poi la mette in musica e comincia ad eseguirla per istinto, man mano che le esecuzioni al Cafè Society si ripetevano, ne interiorizzò il significato poetico, e quindi non potè più cantarla senza piangere. La Columbia, naturalmente si rifiutò di fargliela incidere. Per una come lei che affrontava ogni giorno dell'esistenza come una scommessa quella fu solo una sfida minore, così registrò la canzone per la più piccola etichetta Commodore. E immortalò il capolavoro. Nel 1939 il prestigioso Time bollò 'Strange fruit' come "insulsa canzone di propaganda musicale", sesant'anni più tardi, nel 1999, lo stesso Time la elesse "canzone del secolo", davanti ad 'Imagine' di John Lennon. I tempi cambiano e rarissime canzoni, quando sono capolavori, aiutano a cambiarli.


4 commenti:

Anonimo ha detto...

Consiglio a tutti di sentire la versione di Robert Wyatt.
Dopo quella di Lady Day, è la migliore!
:-)

birdantony ha detto...

questa mi manca! ma sei sicuro sia migliore addirittura di quella di jeff buckley? o di quelle fatta da antony & the johnsons o da greg dulli & mark lanegan? ;-)

Anonimo ha detto...

E' sicuramente migliore di tutte quelle che hai detto.
Certo, son tutte buone (anche quella dei KARATE è favolosa) ma forse quella di Wyatt, sarà che l'ha fatta molti anni fa, quando ancora non era "obbligatorio" fare cover di Strange Fruit... ancora mi pare insuperata.
:-)

CornflakesBoy ha detto...

Scusate, mi ci metto pure io, preferisco la versione di TORI AMOS.

Ma io di Antony ho solo una versione live in cui però canta il testo di STRANGE FRUIT sulla melodia di THE LAKE. Ne esiste un'altra ? Magari più fedele all'origianle?